Alla ripresa dopo la pausa estiva, sul tavolo del governo sono affastellati i molti dossier rimandati. Alcuni in grado di mandare in fibrillazione la maggioranza, come i nuovi nomi per la Rai e le riforme della giustizia. In attesa di scrivere la nuova legge di Bilancio
Dopo una decina di giorni di ferie, la premier Giorgia Meloni ha lasciato la masseria di Ceglie Messapica dove ha trascorso le ferie estive. Telefonate di lavoro certo ce ne sono state, visto il caso della presunta inchiesta contro la sorella Arianna ma anche il fronte internazionale sempre più bollente, e anche visite a metà tra il piacere e il lavoro come quella del vicepremier Matteo Salvini, anche lui in vacanza in Salento.
Ora, però, è rientrata a Palazzo Chigi (come ha comunicato lei stessa con un video su Instagram: «Eccomi qua! Sono ricomparsa!») e ha riaperto l’agenda di governo, zeppa di questioni che rendono l’autunno imminente decisamente complicato.
Molte delle quali sono rimaste in arretrato da prima della pausa estiva e torneranno sul tavolo del primo consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, già fissato per il 28 agosto, e poi del vertice di maggioranza programmato il 30.
Commissario europeo
La prima questione aperta è quella che riguarda la nomina del commissario europeo. Attualmente l’unico partito della maggioranza ad aver sostenuto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è Forza Italia, mentre i rapporti con la premier si sono raffreddati.
Il nome di Meloni come commissario italiano è quello del ministro con delega al Pnrr, Raffaele Fitto: un nome secco, invece della doppia proposta con anche una candidata donna come caldeggiato da von der Leyen. Come già nel voto – poi negativo – alla coalizione di von der Leyen, anche in questo caso la premier ha scelto la strategia di tergiversare. Se buona parte degli stati europei hanno indicato il loro nome, l’Italia non lo ha ancora formalmente fatto e la scadenza ultima è fissata per il 30 agosto. Una delle ipotesi è che alla base dell’attesa ci sia una negoziazione sottotraccia perché al commissario italiano vengano attribuite le famose «deleghe di peso» più volte rivendicate da Meloni, per esempio quella al Pnrr o alla Coesione.
Questo auspicio è ancora tutto da realizzarsi e, in caso di esito meno felice, certamente non sarebbe un bel segnale per l’Italia nei rapporti con l’Ue. In ogni caso, la quasi certa nomina di Fitto aprirà un’ulteriore questione: a chi assegnare le sue deleghe ministeriali? Fino a oggi è sempre stata rifiutata l’idea di un rimpasto, quindi andrebbero distribuite tra gli altri dicasteri. Con un caveat: ora il Pnrr entra nel vivo della realizzazione dei progetti e sarà un percorso tutt’altro che semplice, dopo i ripetuti avvertimenti della Corte dei Conti. Chi assumerà le deleghe, quindi, rischia di accollarsi più oneri che onori.
Nomine Rai
Non ci sono solo le nomine europee, però. Uno dei dossier più delicati rinviati a settembre riguarda le nomine in Rai. In bilico c’è la poltrona dell’amministratore delegato Roberto Sergio: la Lega vorrebbe confermarlo, Fratelli d’Italia punta sull’avvicendamento con l’attuale direttore generale Giampaolo Rossi. È poi ancora aperto il nodo della presidenza, dopo l’addio di Marinella Soldi. Forza Italia vorrebbe che il posto venisse assegnato a Simona Agnes. Tutto, per ora, è sospeso perché l’accordo di maggioranza non è stato chiuso e l’uomo da convincere è Matteo Salvini.
Come se non bastasse, è necessario poi anche il rinnovo del cda, scaduto in luglio e in stallo sulla nomina dei quattro consiglieri in quota parlamentare: il voto per i due eletti dal Senato è fissato il 12 settembre e anche la Camera dovrà decidere quando esprimersi. Le opposizioni, però, hanno già annunciato battaglia contro la «lottizzazione» di quella che è stata ribattezzata tele-Meloni. La richiesta congiunta di Pd, M5S, Italia viva, Azione e Avs è quella che, prima delle nomine, «si lavori a una riforma organica della governance». Altrimenti, è la minaccia, sarà sabotaggio: per eleggere la nuova presidente servono i due terzi della Commissione di vigilanza, dunque il voto delle opposizioni è indispensabile.
Balneari
Altro tema lasciato in sospeso è quello delle concessioni balneari, per cui il governo ha deciso di far passare l’estate prima di decidere come dare attuazione alla famigerata direttiva europea Bolkenstein del 2006, che impone di aprire il mercato alla concorrenza rimettendo a bando le licenze, di proroga in proroga in mano da molti anni agli stessi gestori e con prezzi molto bassi.
Il rischio, in caso di mancato intervento, è quello di vedersi recapitare una sanzione da parte dell’Unione europea, che in questo momento ha aperte 72 procedure di infrazione contro l’Italia.
«Ci sta lavorando l’intero governo. Ottenere l’ok della Commissione europea alla prelazione per gli uscenti e agli indennizzi sui lavori svolti penso siano due delle priorità nostre e della stragrande maggioranza delle aziende coinvolte», ha detto al Meeting di Rimini il vicepremier e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Il governo, infatti, è al lavoro per una soluzione che permetta di indennizzare gli imprenditori che hanno in gestione un tratto di spiaggia da anni e hanno fatto investimenti strutturali, oltre che creato un marchio. Più difficile, per le regole Ue, che si possa prevedere la clausola di prelazione.
La grande questione sottostante, però, è più ampia: dare esecuzione alla Bolkenstein in materia balneare aprirebbe il precedente anche per un’altra categoria molto rumorosa e coccolata dal governo: i taxi.
Le regionali
C’è poi anche un nodo elettorale a cui Meloni guarda con preoccupazione. In autunno, infatti, si voterà in tre regioni: Liguria, Emilia Romagna e Umbria. Se l’Emilia Romagna è ancora considerata un baluardo “rosso” inconquistabile, nelle altre due regioni il centrodestra è guida uscente ma la riconferma non è scontata. Per la Liguria, dove si vota a fine ottobre poco prima dell’inizio del processo all’uscente Giovanni Toti, il nome del candidato non è ancora stato individuato e la scelta sta virando verso la deputata di Noi Moderati Ilaria Cavo. In Umbria, invece, andrà a caccia del secondo mandato la leghista Donatella Tesei e ad oggi viene data in vantaggio sulla sfidante. L’esito peggiore – una sconfitta tre a zero – però, è un incubo che incombe sul centrodestra.
Giustizia e riforme
Nel frattempo, deve ripartire anche il cantiere delle riforme. Il fronte della giustizia è aperto: il governo ha deciso di ripartire dalla riforma costituzionale della separazione delle carriere incardinata alla Camera, ma l’estate è stata segnata dall’emergenza del sovraffollamento e dei suicidi in carcere. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha in programma un incontro con il Quirinale proprio su questo e l’obiettivo appare quello di un intervento più strutturale rispetto al decreto approvato prima dell’estate e poco incisivo. Tuttavia, lo scontro in maggioranza è dietro l’angolo tra la via di ripensare la custodia cautelare perorata dal guardasigilli e Forza Italia e la rigidità su questo degli altri due partiti.
Al palo, poi, è anche l’autonomia: la commissione del ministero dell’Economia è ancora al lavoro per fissare i livelli essenziali delle prestazioni, ma i numeri non arriveranno a breve. La legge Calderoli consente due anni di tempo per definirli e FdI certamente non ha interesse ad accelerare il percorso, viste le molte perplessità mosse – sia pubblicamente che privatamente – da parte dei presidenti di centrodestra delle regioni del sud.
Inoltre, su questo fronte è aperta sia la grana referendaria promossa dalle opposizioni che vola oltre le 500mila firme e i tre ricorsi costituzionali presentati da Toscana, Sardegna e Puglia, cui presto si aggiungerà la Campania. Se la Lega sta spingendo per dare attuazione il prima possibile alle intese tra Stato e regioni, FI e FdI (e soprattutto i loro ministri, che dovrebbero perdere deleghe per attribuirle alle regioni) si muovono con molta maggiore cautela.
Manovra di bilancio
L’autunno, infine, è la stagione della manovra di Bilancio. Entro il 27 settembre il governo deve presentare la Nadef, la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, che costituisce la base degli obiettivi programmatici della manovra.
I temi in agenda sono tanti: dal taglio al cuneo fiscale agli investimenti in sanità, passando per il sostegno alle imprese, alla transizione ecologica. Fino alle pensioni, con Salvini che è tornato a chiedere Quota41 e Tajani che ha rivendicato l’aumento delle pensioni minime. Con una new entry: il possibile aumento della spesa militare per raggiungere il 2 per cento del Pil chiesto ai paesi membri della Nato.
Questa è solo la lista preliminare: come sempre il piè di lista si allungherà a dismisura con l’avvicinarsi dell’Aula. Gli uffici del ministero dell’Economia e lo stesso ministro Giancarlo Giorgietti hanno già messo le mani avanti sulla necessità di tenere ben saldi i cordoni della borsa e sono al lavoro con un’unica consapevolezza: la sola conferma delle misure inserite per l’anno in corso costa all’incirca 20 miliardi di euro e di questo ammontare un’unica misura viene considerata una priorità: il taglio del cuneo fiscale, per cui servono 10-12 miliardi di euro. Su tutto il resto, i tagli sono dietro l’angolo.
Le nuove regole del patto di Stabilità, infatti, impongono uno stop alle spese in deficit per finanziare gli interventi e la manovra 2023 è stata sostenuta in buona parte proprio con questa leva. I conti, dunque, quest’anno saranno molto complicati da fare e le tensioni si scaricheranno tutte sui rapporti tra le forze della maggioranza, ognuna delle quali vorrà rivendicare un suo totem.
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