Goffredo Bettini, a suo parere il 5 aprile il Pd dovrebbe partecipare alla piazza M5s?

Non sarò in Italia, ma se ci fossi stato sarei andato per testimoniare le mie idee. Spero, com’è stato il 15 marzo a piazza del Popolo, in un grande successo.

Ma le parole d’ordine delle due piazze sono ben diverse. Per il Pd dire un no secco al piano di riarmo è tirarsi fuori dal processo europeo.

No, significa tirarsi fuori da un processo ambiguo, che senza politica appare aggressivo e paranoico, e contrario ai principi dell’Ue.

Sul riarmo Conte chiede a Schlein di cambiare rotta. Uno slogan da vigilia o la presa d’atto di una distanza?

Elly Schlein ha avuto coerenza e grande coraggio. Anche Conte l’ha riconosciuto. La piattaforma M5s mette al centro l’errore di un riarmo come spesa sostitutiva della spesa sociale, ed è giusto. Aggiungo che in queste ore si gioca una partita storica sugli equilibri del mondo. Non c’è più la favola dei chierici del liberismo, quella di un Occidente buono. Ci sono diversi Occidenti, composti da società che in gran parte hanno perso qualsiasi fede, laica o religiosa. Ci sentiamo superiori, ma quanta presunzione: in realtà siamo allo stadio zero nella propulsione di valori e civiltà. Ha dilagato il narcisismo nichilista. E quando non c’è più speranza, tutto è possibile. L’Europa deve scegliere: uno scatto di pensiero e autorevolezza per porsi come un deterrente attivo alla guerra, per dialogare, per contrastare le disuguaglianze, per aprirsi alla Cina, all’India, ai paesi Brics dove pulsa il futuro del mondo. O, al contrario, intraprendere un volo cieco, alimentato dagli interessi delle nazioni o dai calcoli di leader ormai alla frutta, come Macron in Francia. Dell’Europa a quel punto rimarrà in piedi solo la Germania riarmata. L’Europa perderà ogni funzione positiva e sarà destinata a disgregarsi. Mi preoccupa anche il processo di nazionalizzazione dei socialisti. Come accadde nel 1914.

Sull’idea di Europa la destra è divisa ma le opposizioni anche di più: l’alternativa a Meloni non c’è?

La destra non è solo divisa. Salvini ormai tifa per Putin. Meloni, non lo dico con soddisfazione, è del tutto irrilevante. Sono canne al vento. Non stanno garantendo all’Italia una qualsivoglia politica estera. L’opposizione, com’è naturale, si è mossa con libertà, anche riferendosi ognuno al proprio elettorato. Ma il Pd è stato chiaro: il piano Von der Leyen è inaccettabile. Il resto della sinistra e Conte danno un giudizio drasticamente negativo. Per non parlare della maggioranza del mondo cattolico, radicalmente pacifista. Non ci sono fossati che dividono le forze di una possibile alternativa; piuttosto differenze da ricomporre su una linea generale condivisa: per un’Europa politicamente più unita, dalla quale far scaturire anche una difesa comune. Non un’Europa più armata e più divisa. Senza una bussola.

L’alternativa non c’è, però, e a dire il vero non solo sulla politica estera.

L’alternativa è urgente. Gli ultimi dati Istat sono spietati. Con il governo di destra, la povertà è aumentata; il 20 per cento degli italiani continua a vivere di stenti con meno di 12mila euro l’anno; dal 2008 al 2024 salari e stipendi si sono ridotti dell’8,7 per cento. Se sommiamo l’inflazione, milioni di persone sono sul lastrico. Landini e i sindacati insistono su questa emergenza, ma il governo è indifferente. Altro che destra sociale: difendono oligarchie e disuguaglianze.

Calenda sfida i riformisti e chiede la cancellazione del M5s: il Pd dovrà scegliere fra lui e M5s?

Conte a volte si può non condividere, ma è un interlocutore naturale, intelligente e progressista. Calenda, nel suo congresso, ha dimostrato quanto sia labile. Ci hanno giocato un po’ tutti. E poi, dire che si deve dialogare con gli avversari, come Meloni, ma che si deve cancellare il M5s, un alleato fondamentale nel campo progressista, è contro il principio di non contraddizione. Non c’entra la politica, ma la logica aristotelica.

Ma anche Conte non vuole Azione nella coalizione, e neanche Iv.

Annoto che Renzi ha ricominciato a fare politica. Dall’opposizione. Non consiglio chiusure pregiudiziali. Con chi fa politica si può sempre dialogare. Tenendo fermi i principi in cui si crede.

La segretaria dovrebbe convocare un tavolo per l’alleanza, o si rassegna ad aspettare che l’alleanza sbocci a ridosso del voto politico?

Il compito del Pd è lavorare per la massima apertura dell’alleanza. Riuscire a chiudere un programma e un accordo sul candidato premier prima del voto, sarebbe il massimo risultato. Ma l’importante è convergere su indirizzi e principi di fondo. A partire, dalla Costituzione e da un’Unione europea diversa. L’importante è rendere chiaro all’elettorato da che parte si sta, non scrivere un programma di duecento pagine che poi nessuno ricorda.

Un gruppo di dem ha contestato un incontro istituzionale di Pina Picierno con una lobby vicina ai coloni israeliani. C'è della brace sotto la cenere nel Pd, anche sul Medioriente?

Le stragi di civili palestinesi sono tanto più crudeli, nel momento in cui si sono voluti distinguere anche con una manifestazione dai terroristi di Hamas. In questo clima, incontrare la destra israeliana è un errore grave. Dispiace che, dopo molte critiche, Pina Picierno non abbia riflettuto e colto l’inopportunità del suo gesto.

Nel Pd serve un chiarimento interno, oppure proprio un congresso?

Un chiarimento è assolutamente necessario. Sulla guerra e sulla pace nascono, muoiono o si separano i partiti. Lo dice la storia. Vedo utile un referendum tra gli iscritti. Non i gazebo, ma una discussione nei territori e nei circoli e poi un voto deliberante e consapevole. La cosa inaccettabile è il logoramento della segretaria che ci ha risollevato dal pantano.

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