L’ultimo scampolo d’estate è stato inclemente con Giorgia Meloni. Asserragliata a palazzo Chigi, da cui ha cacciato dal suo piano commessi e uomini della polizia sospettati di essere potenziali “spioni”, è in piena sindrome da accerchiamento. Lo scandalo Sangiuliano sta lentamente allungando la sua ombra sul cerchio fiduciario della premier: prima sull’ex cognato Francesco Lollobrigida, a cui l’intraprendente campana Maria Rosaria Boccia aveva tentato di avvicinarsi, poi sulla sorella Arianna.

Il tandem delle sorelle Meloni sembrava perfetto: la minore nel cono di luce, leader e frontwoman del partito, la maggiore nell’ombra a guardarle le spalle. Così se lo immaginava anche la stessa Arianna, che nel giorno del trionfo alle elezioni politiche di due anni fa ha dedicato a Giorgia una metafora ispirata dal Signore degli anelli: «Ti accompagnerò sul monte Fato a gettare quell’anello nel fuoco, come Sam con Frodo, sapendo che non è la mia storia che verrà raccontata, ma la tua, come è giusto che sia». Rileggendolo oggi, il parallelo tolkieniano suona decisamente meno esatto.

Oggi infatti Arianna – che della premier è stata e continua a essere la consigliera più fidata e la dirigente più fedele – è il nome più sussurrato tra i palazzi del potere romano e anche nelle reti televisive bramose di share, in attesa delle prossime rivelazioni.

Chissà di quale colloquio tra Arianna e Sangiuliano l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia sarebbe al corrente. Chissà se davvero è stata Arianna a mettere in guardia – inascoltata – il ministro sulle mire della sua quasi consigliera. In un nuovo post su Instagram, Boccia non ha lasciato molti dubbi: «Come è stato possibile che un decreto di nomina sia stato strappato senza lasciare traccia? E qual è il motivo?». E ancora: «È avvenuto dopo il dialogo con Arianna Meloni? (Il ministro mi chiamò subito dopo e mi chiese di vederci per raccontarmi il contenuto della conversazione)».

Quel che è certo è che tutti i fili, in un modo o nell’altro, arrivano sempre ad Arianna. Accusata di essere manovratrice di nomine, dalla Rai fino ai dirigenti delle partecipate pubbliche passando per i candidati sindaci. Chiamata in causa da Alessandro Sallusti come potenziale vittima di un’inchiesta giudiziaria a orologeria per colpire la sorella premier. Adesso convitata di pietra in una vicenda che, nemmeno troppo sotto la prurigine gossippara, racconta l’inadeguatezza della classe dirigente portata da Fratelli d’Italia ai vertici delle istituzioni.

Il rischio, adesso, è che la valanga che ha già travolto l’ex ministro della Cultura possa arrivare anche alla sorella della premier, che di FdI è capo della segreteria politica. Il ruolo le è stato assegnato nel 2023 da Meloni ed è stata la decisione che meglio descrive la traiettoria di pensiero della leader: Arianna deve essere i suoi occhi e le sue orecchie nel partito, guidare il tavolo a cui siedono i colonnelli e impedire che le correnti prendano spazio, impedire che al buio si ordiscano congiure.

E chi meglio di una sorella – con cui il legame di fiducia è per forza di cose ben più profondo di qualsiasi convergenza politica – può assolvere a un simile compito. Impregiudicata la sua esperienza politica (che pure ha rivendicato per rispondere alle critiche, ricordando la sua lunghissima militanza politica), Arianna incarna l’esatto paradigma che guida le scelte della premier per tutti i ruoli nevralgici: prima la fedeltà granitica, poi tutto il resto.

Il parafulmine

Così il fantasma di Arianna Meloni ha cominciato ad aleggiare su qualsiasi decisione assunta in FdI, soprattutto le più impopolari. Difficile se non impossibile districarsi tra le dicerie e le verità sul suo ruolo effettivo (lei al Foglio ha detto che «un certo giornalismo mi tira in ballo di continuo descrivendomi alle prese da due anni con nomine e trame di potere. Questo mi avvilisce»), ma anche solo il timore di irritare la premier per interposta sorella è fino a oggi bastato a tenere il controllo sulle velleità di eletti e dirigenti. Fino a quando non è arrivato il travolgente «rapporto personale» tra Sangiuliano e Boccia a mostrare quanto poco basti a mandare a gambe all’aria il sistema meloniano.

Con la scelta di formalizzare il suo ruolo nel partito, Giorgia intendeva legittimare Arianna come il suo braccio armato. A oggi, però, l’effetto appare quello di averla trasformata nel suo parafulmine. Arianna è ormai l’alter ego di sua sorella: oggetto di sovraesposizione sia politica sia personale e la rappresentazione plastica dell’incapacità della premier di superare la familiarità rassicurante della sezione di Colle Oppio per aprirsi all’esterno. Sarebbe una necessità quanto mai impellente per colmare i vuoti di competenza nei ruoli apicali di governo, ma oggi – alla luce degli ultimi scandali – non viene nemmeno presa in considerazione. E allora forse i limiti di Arianna sono, in fondo, soprattutto da imputare a Giorgia.

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