Il capo di gabinetto Caputi ha favorito il viaggio di Meloni da Trump. Risolto anche il problema del post Belloni: al Dis arriva Vittorio Rizzi
Una vittoria dell’intelligence italiana. E in particolare del sottosegretario, Alfredo Mantovano, e ancora di più dell’Aise guidata da Giovanni Caravelli. È stata emblematica la decisione del capo dei servizi segreti all’estero di andare direttamente a Teheran per riportare Cecilia Sala in Italia.
Per una volta è lui l’uomo-copertina della vicenda, nonostante il suo principale compito sia quello di agire dietro le quinte: ha sbloccato l’impasse con la Repubblica Islamica, dopo aver ricevuto il via libera politico, direttamente da palazzo Chigi, sulla possibilità di offrire come moneta di scambio la scarcerazione – prevista probabilmente nei prossimi giorni – di Abedini Najafabadi.
Alla presidenza del Consiglio il dossier è stato gestito fin dall’inizio da sole tre persone: la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario con delega ai servizi, Alfredo Mantovano, e il capo di gabinetto, Gaetano Caputi, rimasto nell’ombra della narrazione mediatica, ma che ha avuto un ruolo chiave per organizzare la missione-lampo di Meloni a Mar-a-Lago, a casa di Donald Trump.
Un appuntamento di cui non sapevano nulla addirittura due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, che da ministro degli Esteri avrebbe voluto più voce in capitolo. Caputi ha infatti aiutato – insieme ai rapporti che Meloni ha con Andrea Stroppa e Elon Musk – a organizzare il viaggio contattando Dan Scavino, fidatissimo consigliere del prossimo presidente statunitense.
Nella futura amministrazione, Scavino sarà vicecapo dello staff di Trump dopo essere stato l’uomo della comunicazione, in particolare della strategia sui social media, fin dall’ascesa politica di The Donald nel 2016. Il vertice in Florida è stata la chiave di volta per quanto riguarda l’aspetto politico.
A quel punto, ricevuto il semaforo verde per la liberazione di Abedini, è ri-entrato in scena Caravelli, che ha avviato – fin dal 19 dicembre, giorno della carcerazione di Sala – i contatti con i vertici dei servizi iraniani (il ministero preposto è stato affidato a Esmail Khatib dal presidente Masoud Pezeshkian) che conosce da lustri. È proprio Caravelli che ha convinto i colleghi di Teheran a fidarsi, e ad anticipare il ritorno della giornalista.
I device alla Cia
La trattativa ha visto fin dall’inizio in campo tre attori. L’Italia e l’Iran e, ovviamente, gli Stati Uniti, che avevano chiesto e ottenuto l’arresto di Abedini per la sua responsabilità nella costruzione dei droni usati dall’esercito della Repubblica islamica. La richiesta sull’asse Roma-Teheran era palese: la liberazione della giornalista, detenuta nella terribile prigione di Evin, in cambio della scarcerazione dell’ingegnere.
Un sostanziale baratto di prigionieri. Italia e Iran si sono subito accordati sulla possibilità dell’operazione. Inizialmente gli ayatollah hanno detto che non avrebbero liberato Sala se non dopo il ritorno di Abedini: prima vedere cammello. Dopo il blitz di Meloni da Trump e il sì condizionato del tycoon allo scambio (Trump ha chiesto che venisse fatto prima del suo insediamento, scaricando qualsiasi imbarazzo sull’uscente Biden), Caravelli ha potuto muoversi con più forza nei confronti di Teheran. Chiedendo di invertire l’onere della fiducia: dateci Sala, dopo vi daremo Abedini. Il regime ha accettato.
Ma cosa ha convinto il futuro inquilino della Casa Bianca a digerire il “no” italiano all’estradizione dell’ingegnere considerato un terrorista, reo di aver contribuito a far uccidere militari statunitensi? Due rassicurazioni da parte di Roma. In primis, l’intelligence italiana ha garantito alla Cia il trasferimento di tutte le informazioni contenute nei dispositivi mobili, pc e smartphone sequestrati dalla Digos ad Abedini il giorno della cattura.
Materiale preziosissimo per gli agenti di Langley: possono impiegarlo per operazioni di contro-spionaggio e conoscere le tecnologie adoperate dagli ayatollah, oltre che la rete di contatti dell’iraniano.
Fin qui il do ut des sul piano dell’intelligence. Ma c’è un altro livello, quello politico. Come emerso, la missione di Meloni a Mar-a-Lago è stata necessaria a fornire adeguate garanzie al futuro inquilino della Casa Bianca: il governo italiano rischia di dover pagare un prezzo politico che sarà tutto da calcolare nella lealtà all’amministrazione repubblicana. C’è chi mette in relazione questa vicenda anche con il possibile accordo con SpaceX per i satelliti di Musk. Restano ipotesi, la realtà sarà tutta da vedere.
Rizzi all’Aisi
La vicenda si è chiusa al meglio possibile per il governo italiano. Facendo tirare sospiri di sollievo anche alla magistratura, che non dovrà assumersi l’onere di decisioni complicate su Abedini.
La scelta dello scambio è infatti diventata esclusivamente politica. Nella tarda mattinata di mercoledì si era già diffusa la voce che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, potesse firmare la scarcerazione di Abedini. Un’indiscrezione smentita da via Arenula.
Lo spin del governo è quello di aver garantito a Teheran il “no” all’estradizione. Ma varie fonti governative parlano dell’imminente liberazione dell’ingegnere dei droni. Fonti spiegano a Domani che per evitare imbarazzi a Biden, atteso a Roma questo week-end per incontrare papa Francesco, il presidente Mattarella e Meloni, Abedini potrebbe essere rilasciato non prima che “Potus” torni in Usa.
Il ritorno “anticipato” di Sala ha ribaltato anche lo scenario nei servizi, che si era complicato dopo le dimissioni di Elisabetta Belloni dal Dis.
Il governo è pronto infatti a chiudere quest’altra partita: come nuovo direttore del dipartimento, che riporta a Palazzo Chigi, è pronto a insediarsi Vittorio Rizzi, da pochi mesi vicedirettore all’Aisi, i servizi segreti interni.
Per il sottosegretario Mantovano è andato a posto anche questo pezzo del puzzle. Come anticipato da Domani, la lotta con Belloni l’ha vinta lui: il fedelissimo di Meloni ha ora il controllo assoluto del comparto.
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