Spesso da un finanziamento dipende la realizzazione (oppure no) di un progetto cinematografico. E ora, per giocarsi questa possibilità, gli sceneggiatori che vorranno accedere ai contributi selettivi del ministero della Cultura, dovranno pagare a loro volta una somma, anche solo per presentare la loro proposta senza nessuna certezza che venga accolta.

L’obbligo che sta preoccupando gli operatori del settore nasce dall’intervento, inserito nella legge di Bilancio 2024, sulla cosiddetta legge Cinema che regola i contributi selettivi. Secondo le nuove regole, per presentare un progetto nelle categorie di scrittura, sviluppo o produzione, sarà necessario versare una quota per le spese istruttorie che va dai 200 ai 10mila euro.

Una forbice piuttosto ampia, che è rimasta indefinita a causa della mancanza di un decreto attuativo. E che rischia di avere una ricaduta pesante soprattutto sugli sceneggiatori, che presentano application per la categoria “scrittura” e in genere si muovono senza una casa di produzione alle spalle. Diverso il caso delle altre due categorie di finanziamento, per cui in genere si presentano progetti più strutturati elaborati insieme al produttore, che in linea di massima dispone di una liquidità molto più cospicua del singolo sceneggiatore. Eppure il bando per la presentazione dei progetti è in scadenza domani, il 10 ottobre.

Dopo aver interpellato il ministero, però, possiamo anticipare i contributi che verranno richiesti. In un appunto si parla di 200 euro per gli sceneggiatori, mentre «l’importo di 10mila euro è per chi presenterà film che costano più di 3,5 milioni di euro». Altra cifra ancora per le opere prime e seconde, per cui «i giovani autori pagheranno 800 euro». Insomma, nonostante gli sceneggiatori siano già tra le professioni che si assumono la maggior parte del rischio d’impresa, d’ora in poi avranno un ulteriore ostacolo sulla loro strada. Eppure nel settore tutti sono consapevoli che, senza l’idea e la scrittura, il resto delle professionalità necessarie per realizzare un film neanche si mobilita.

Il ragionamento

La ratio, filtra da via del Collegio romano, è quella di portare sceneggiatori e produttori a presentare proposte più circostanziate e maggiormente definite di quanto sia accaduto finora: «Nulla di proibitivo, solo una raccomandazione di presentare le richieste con le idee un po’ più chiare». Non sarebbe invece rilevante l’aspetto economico, che in attesa della pubblicazione del decreto attuativo è rimasto invece oscuro per chi stava preparando la sua proposta per concorrere ai finanziamenti messi in palio dal bando in chiusura. Una partecipazione a scatola chiusa con il rischio di trovarsi di fronte una parcella troppo alta da pagare perché il proprio progetto venga anche solo preso in considerazione.

La valutazione viene fatta da una commissione i cui professionisti sono retribuiti e nel settore circola il timore che quel costo – nuovo, visto che in precedenza il lavoro era gratuito e di conseguenza in balia di tutte le distorsioni del caso – ora venga ribaltato su chi concorre per ottenere i finanziamenti. A mettere in fila i numeri ci ha pensato la Writers Guild Italia, il sindacato degli sceneggiatori, che ha fatto delle simulazioni con le nuove regole stabilite dal ministero. «Abbiamo fatto riferimento ai dati dell’anno scorso, calcolando che ogni progetto presentato fosse costato allo sceneggiatore il minimo previsto dall’avviso del ministero, 200 euro» spiega Francesca Tozzi, del direttivo Writers Guild.

I numeri sono importanti: il totale sarebbe ammontato a 133mila euro, 59mila per la prima sessione e 54mila per la seconda. Il tutto a fronte di un totale di contributi erogati, ha calcolato il sindacato, di 780mila euro. «un settimo sarebbe stato coperto interamente dalle spese istruttorie». Insomma, con un giro paradossale gli sceneggiatori finirebbero per finanziarsi le loro idee a vicenda.

Resta poi la questione del valore che ha un’idea e di quanto sia giusto legare la possibilità che venga trasformata in realtà alla disponibilità economica di chi la immagina. «È spesso difficile potersi permettere di fare questo mestiere se non si parte da una condizione di privilegio. Non è detto che tutti possano permettersi questo contributo» continua Tozzi. «Per non considerare il fatto che è un vincolo che va nella direzione diametralmente opposta a quella impegnata a parole dal ministero della Cultura, che si propone – almeno sulla carta – di allargare il bacino di voci che arrivano al pubblico».

È infatti questa la ratio sbandierata dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano prima e dal suo successore Alessandro Giuli poi, entrambi campioni della battaglia della destra contro la presunta egemonia culturale della sinistra. Era questa la ratio anche della legge sul tax credit, che nelle parole della sua madrina Lucia Borgonzoni avrebbe dovuto valorizzare soprattutto sceneggiatori e produttori italiani finora tagliati fuori dal sistema del cinema. L’inclusione costa (almeno) 200 euro.

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