Alleanza a corrente alternata o seconda vita da satellite del Pd? L’ex premier deve scegliere tra le linee dei suoi consiglieri più ascoltati
«Mi si nota più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente?» L’immortale battuta di Ecce Bombo sembra scritta appositamente per Giuseppe Conte che, nel mezzo di un conflitto con il suo garante, un voto in commissione di Vigilanza Rai da sbloccare e due elezioni regionali in arrivo, deve decidere che direzione far prendere al suo Movimento 5 stelle.
Dopo il pessimo risultato ligure (dove il Movimento ha preso appena il 4,8 per cento) e una vaga assunzione di responsabilità da parte dell’ex premier, Conte è scomparso. Mentre sui quotidiani i retroscenisti si consumano riportando quel che succede nel partito, dove inizia a diffondersi un certo malessere nonostante i gruppi continuino a essere indiscutibilmente contiani, il presidente del partito deve arrivare a fine mese e mettersi il prima possibile alle spalle il passaggio della costituente.
Sembra ormai probabile che l’assemblea sarà l’ultimo capitolo del lungo divorzio tra Beppe Grillo e il Movimento, ma prima di allora sono in programma due elezioni in cui il partito rischia di toccare nuovi record negativi in termini di consenso. Andranno anche in scena gli Stati generali voluti da Barbara Floridia. Mercoledì, la presidente della commissione di Vigilanza spiegava che «finché non ci sarà un dialogo corretto e definito, in serenità, tra maggioranza e opposizione, non ci muoviamo e non votiamo» Simona Agnes, che il centrodestra vorrebbe vedere confermata come presidente Rai. Ma il canale con la maggioranza resta aperto, mentre il Pd non parteciperà nemmeno alla manifestazione di Floridia. E così le suggestioni corrono: anche perché Conte si trova stretto tra i consigli opposti di due ottimi amici, Goffredo Bettini e Marco Travaglio.
Corrente alternata
Da un lato c’è il direttore del Fatto quotidiano, che dal giorno successivo al voto ligure insiste sull’opportunità di lasciarsi alle spalle l’alleanza stabile con il Pd. «Conte non ha stretto alleanze organiche col Pd: diversamente da qualche smemorato dei suoi, non ha neppure applicato ai Cinque stelle l’etichetta di centrosinistra» ha scritto Travaglio, suggerendo che Conte «ha sbagliato a donare il sangue a candidati invotabili in Liguria, Abruzzo e Basilicata». Meglio invece, continua il direttore, valutare di volta in volta, e soprattutto ancorare le priorità in un contratto di governo. Insomma, per Travaglio c’è bisogno di un argine più forte di un programma condiviso e di più candidati “stile Alessandra Todde”. Cioè scelti dal Movimento 5 stelle.
Una linea senza compromessi che si ispira alla tolleranza zero verso le alleanze a cui il Movimento deve i suoi successi più grandi, che però oggi si scontra con la realtà dei numeri. Se il cammino comune della coalizione di centrosinistra era già stato accidentato nell’ultimo mese, il 5 per cento scarso della Liguria riduce ulteriormente lo spazio di manovra per Conte, che si ritrova di fronte un Pd che riesce addirittura ad aumentare i voti rispetto all’ultimo appuntamento elettorale.
Presentare oggi una strategia a corrente alternata, in cui per i prossimi tre anni l’alleanza andrà avanti a seconda delle circostanze (leggi: se il candidato sarà espressione del Movimento) sembra poco sostenibile. Sia di fronte ai gruppi, in stato di grande agitazione, sia in termini di materiale umano a disposizione: competere a livello locale prevede una potenza di fuoco di cui i gruppi territoriali ridotti al lumicino attualmente non dispongono. Oltre che un’identità riconoscibile di cui non resta traccia, visto che ormai anche il credito che Conte aveva guadagnato ai tempi del Covid sembra essersi consumato. E poi, se il M5s andasse da solo, addio alibi: la responsabilità di eventuali, probabili, fallimenti, graverebbe tutta sulle spalle del Movimento, nessuna colpa da attribuire alla scarsa attrattività della coalizione o del candidato. Difficile anche riproporsi al Pd in prossimità delle elezioni del 2027 dopo tre anni di tira e molla per fare fronte comune contro la destra.
Satellite del Pd
Proprio su questi dubbi fanno leva le obiezioni dell’intellettuale di riferimento della sinistra romana, Goffredo Bettini, da sempre grande sostenitore della “cosa giallorossa” e amico fraterno dell’ex premier. Prima delle elezioni in Liguria aveva detto a Domani che Conte ora «non va pressato».
Il giorno successivo allo spoglio ha impugnato bastone e carota: «Le lacerazioni della coalizione hanno pesato negativamente. Stabilizzarla e allargarla, significa costruire un soggetto liberale e di centro, collocato nel campo democratico, che superi i residui e i conflitti del passato e guardi al futuro». E poi: «Il Movimento 5 stelle vive una fase di grandi difficoltà e di incerta transizione. Speriamo tutti che anch’esso chiuda la parte della sua storia ormai esaurita e abbia l’energia di costruirne una nuova».
Insomma, della gamba riformista in coalizione non si può fare a meno, ma ci vuole anche comprensione per i travagli interni dei Cinque stelle. Da un lato, l’appello all’intervento di un federatore che metta insieme quanto c’è a destra di Elly Schlein, dall’altro, l’auspicio che Conte traghetti il partito verso una nuova fase da satellite dei dem, con una sopravvivenza garantita proprio dal trend positivo del Pd. Con l’assicurazione che comunque – ha giurato in un’altra intervista Bettini – Conte ha compiuto una «scelta irreversibile» quando si è posizionato a sinistra. E se Travaglio la vede diversamente, pazienza.
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