Anche il Quirinale in campo contro le tariffe del presidente Usa e auspica una «risposta compatta» dell’Ue. La premier predica prudenza ma non «esclude una risposta». Salvini: «No a guerre commerciali»
La giornata di palazzo Chigi è stata scandita dal conto alla rovescia fino alle 22, orario italiano in cui il presidente americano Donald Trump ha fissato l’annuncio dei temuti dazi sulle merci europee. Fino a questo momento la premier Giorgia Meloni ha tenuto un profilo più che basso: prudenza è stata la parola d’ordine e su questo si è basata la scelta di intervenire il meno possibile sul tema.
Eppure, alla vigilia dell’annuncio, con i mercati in ebollizione per il rischio di una guerra commerciale e l’Unione europea pronta a rispondere, tacere non è stato più possibile.
«Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare in tutti i modi possibili una guerra commerciale che non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti e né l’Europa», ha detto Meloni in una occasione decisamente simbolica come la cerimonia di consegna del premio Maestro dell’arte della cucina italiana, visto che i dazi colpiranno in particolare i produttori italiani e dunque in particolare la gastronomia. Poi ha dovuto pronunciare una frase fino a oggi mai ascoltata in modo esplicito: «Ovviamente non si esclude, se necessario, di dover anche immaginare risposte adeguate a difendere le nostre produzioni». Se Trump andasse fino in fondo, dunque, l’Italia potrebbe trovarsi a dover rispondere perché «l’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti per i produttori italiani».
Parole, quelle della premier, che si sono messe sulla scia tracciata in mattinata dal Quirinale, che ha definito «un errore profondo» i dazi per cui da parte europea «serve una risposta compatta, serena, determinata». Dopo una presa di posizione così chiara da parte di Sergio Mattarella, del resto, difficilmente Meloni avrebbe potuto, pur evitando attacchi diretti agli Usa, continuare con il silenzio.
«La linea della saggezza è quella che paga sempre», è stata la chiosa del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha ripreso le parole della premier e del Colle sottolineando che «non dobbiamo reagire di pancia a dei dazi» ma «se non si riesce con il dialogo a ottenere una situazione diversa, è ovvio che in tempi brevi ci sarà una risposta europea, perché la risposta non può che essere europea».
La strategia italiana
A fronte dell’indirizzo del Colle su cui hanno convenuto, sempre con la prudenza come parola d’ordine, sia Meloni sia Tajani, la strategia rimane sempre la stessa: prendere tempo. O meglio, far leva in Europa perché la reazione nei confronti dell’iniziativa americana sia ragionata. «I tempi della reazione si devono valutare per il tempo necessario, che non sono le calende greche», ha chiarito Tajani, sottolineando come la visita in Italia del vicepresidente J.D. Vance prima di Pasqua potrà essere un buon momento di sintesi. Ma «c’è ancora tempo», si ripete a palazzo Chigi come alla Farnesina, pur con la consapevolezza di ciò che si sta muovendo in Ue, dove c’è chi spinge per reazioni nette e rapide.
La partita, però, rimane delicata e il rischio è quello di restare schiacciati tra Bruxelles e Washington. Questa è la paura che si ripete in particolare in casa Lega, dove tuttavia fervono i preparativi per il congresso tematico del 5 e 6 aprile, in cui Matteo Salvini sarà il candidato unico alla segreteria. «Vendicarsi dei dazi? Se von der Leyen ha usato questo verbo è stata una scelta infelice», ha commentato il ministro delle Infrastrutture, che porta avanti da settimane una linea pro Trump e, sul palco di Firenze, spera in un intervento di Elon Musk. «Fare la guerra agli Stati Uniti non è una cosa intelligente da fare», ha chiosato, mentre il suo entourage è all’opera per creare un canale favorevole di contatto con l’amministrazione Usa.
I leghisti, infatti, spingerebbero perché Roma si attivi per una trattativa indipendente con Washington, facendo valere i buon rapporti ancora esistenti, anche a costo di bypassare von der Leyen. Scelta ardita quanto di difficile successo, alle condizioni attuali, ma che risponde anche alla collocazione europea della Lega nel gruppo dei Patrioti, in aperto contrasto con la linea della presidente della Commissione.
Tuttavia, Meloni come Tajani sono al corrente dei movimenti leghisti sotterranei che già si sono manifestati nelle dichiarazioni sempre più esplosive di Salvini. «Parla per ritorno elettorale interno», è il ragionamento che circola in Fratelli d’Italia, dove però nessun movimento sta passando inosservato. Anche Meloni, del resto, si è resa conto che la necessità di occuparsi soprattutto di questioni internazionali rischia di allontanarla dalla pancia del paese a cui il leghista si riferisce sempre coi suoi interventi.
Forse anche per questo nell’agenda di palazzo Chigi per i prossimi due giorni sono comparse l’inaugurazione di una stazione dei carabinieri a Vibo Valentia, il giuramento dei vigili del fuoco all’Aquila e la visita alla nave scuola Vespucci a Ortona. Impegni che non rispondono certo alla crisi geopolitica in corso, ma nutrono il bisogno di Meloni di ritrovare un forte profilo interno dopo settimane di interventi misurati e silenzi strategici.
Anche perché sono tornate a circolare voci sulla tentazione della premier di andare a elezioni anticipate nel 2026: momento propizio viste le divisioni dell’opposizione ma anche strategico per evitare la stagione apparentemente inevitabile di una crescita dell’inflazione e le difficoltà economiche imminenti. Quanto alla Lega, per ora la linea è quella di lasciar correre, ma la scadenza coincide con il congresso di Firenze.
Poi, forzature non saranno più accettate soprattutto in politica estera. Su Meloni infatti le pressioni sono forti, a partire da quelle di Confindustria. Il presidente Emanuele Orsini ha definito i dazi «un enorme problema», perché in Italia possono compromettere 67 miliardi di esportazioni, con un avanzo commerciale da 42 miliardi, dunque non si può «piegare la testa». Con questi numeri dovrà fare i conti la premier, quando sceglierà da che parte stare al momento di decidere quale sarà la reazione europea ai dazi.
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