Il disegno di legge sulla Concorrenza è stato approvato dalla Camera e passa ora al Senato per il via libera definitivo. Ma quello che manca nel testo è proprio l’apertura alla concorrenza. Anzi, c’è addirittura qualche intervento che va nella direzione opposta.

È il caso della deroga prevista all’entrata in vigore della riforma sulle modalità di accreditamento (per erogare prestazioni nell’ambito del Ssn) delle strutture sanitarie private, prevista dal governo Draghi proprio per rispettare gli impegni assunti del Pnrr.

Un piccolo regalo natalizio del governo Meloni, con la regia dei parlamentari di maggioranza, agli imprenditori dell’intero settore sanitario, in cui spicca – tra gli altri – Antonio Angelucci, deputato della maggioranza (eletto con la Lega) e megafono mediatico della destra attraverso il polo editoriale che ha costruito.

L’obiettivo della norma voluta da Draghi, e approvata in maniera bipartisan nella precedente legislatura, era quello di favorire – a partire dal 2025 – le gare pubbliche per migliorare i servizi e risparmiare risorse economiche attraverso la liberalizzazione del settore. I cambiamenti vengono però sterilizzati e posticipati di almeno due anni, rimandando tutto a un «tavolo di lavoro».

Con la destra, insomma, viene garantito lo status quo in attesa di una futuribile ridefinizione. E paradossalmente lo stop alla norma avviene in un provvedimento che dovrebbe favorire la concorrenza.

«Evidentemente alcuni interessi privati consolidati sono ritenuti più importanti della libertà di impresa e del risparmio delle risorse che potrebbero essere reinvestite per ridurre le liste d’attesa e migliorare il servizio sanitario pubblico», spiega a Domani Vinicio Peluffo, deputato del Pd che ha seguito l’iter del provvedimento.

Si procede di rinvio in rinvio, dunque, per evitare l’entrata in vigore della legge. E i re delle cliniche ringraziano, dalla Lombardia al Lazio.

Buoni pasto e dehors

Ma il ddl Concorrenza, firmato dal ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, è caratterizzato da una sostanziale disattenzione complessiva sul tema della concorrenza. Inclusa la materia dei buoni pasto, trattata nel testo durante l’esame in commissione a Montecitorio. Sui buoni pasto si fissa un tetto del 5 per cento sulle commissioni.

Cosa cambia? Nulla per l’utente finale, che non avrà alcun beneficio. «È solo un piacere alla grande distribuzione organizzata. L’esatto contrario della concorrenza», osserva il deputato di Azione Fabrizio Benzoni.

Una buona parte del testo si sofferma sulla riscrittura delle concessioni autostradali, secondo i desiderata di Matteo Salvini. Nessuna rivoluzione sul punto. Una delle bandiere sventolate dalla maggioranza si rivela un pannicello caldo per le attività di ristorazione: la proroga di un anno della possibilità di prevedere dei dehors.

Insomma, si va avanti a colpi di rinnovi estemporanei di una misura studiata, in piena emergenza Covid, dal governo Conte II per sostenere bar e ristoranti. Peraltro la maggioranza prevede di sottrarre il potere decisionale dei sindaci, in un cortocircuito singolare per chi professa il federalismo e l’autonomia. A chiudere il cerchio c’è il comparto dei trasporti.

Sul capitolo taxi non c’è stato alcun intervento concreto se non il potenziamento delle sanzioni al noleggio con conducente, la categoria avversaria dei tassisti.

«Si tratta di un ddl senza visione. C’è anzi la difesa dei tassisti dal pericolo degli Ncc, che fa anche un po’ ridere, e nulla sui balneari», sottolinea il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova. Si legge ddl Concorrenza, dunque, si legge difesa delle corporazioni.

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