Alla vigilia della Giornata internazionale della donna, è stato approvato in Consiglio dei ministri un testo che modifica il Codice penale introducendo la fattispecie del nuovo reato di femminicidio.

«Noi abbiamo fatto già una legge all’inizio del nostro mandato con strumenti importanti, dai braccialetti che si sono moltiplicati, alla distanza, dall’allontanamento all’arresto in flagranza differita, ma vediamo che il numero dei femminicidi ancora non cala», ha detto la ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella.

«E allora abbiamo introdotto, anche in vista dell’8 marzo, alcune modifiche significative e abbiamo inserito il reato di femminicidio per rimarcare l’assoluta specificità del femminicidio che dipende da questioni strutturali nella società e quindi va isolato come reato con una fattispecie specifica, proprio per far capire la diversità di questo problema». 

Secondo il testo, il nuovo reato punirebbe «chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità».

La controversia

Si tratta di una modifica che potrebbe avere una portata importante sulla giurisprudenza italiana: Il nuovo articolo 577 bis permetterebbe di mettere fine al controverso dibattito che ha riguardato il termine femminicidio, prima definito come «l’omicidio di una donna in quanto tale», ma che non aveva mai trovato una definizione normativa specifica. Nell’attuale Codice penale sono previste aggravanti specifiche per l’omicidio di una donna solamente se il responsabile è legato alla vittima dal matrimonio o da un rapporto di parentela: il nuovo articolo reato non terrebbe più conto di vincoli di vario tipo tra vittima e omicida, ma andrebbe a considerare il fatto che l’omicidio sia stato commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti.

Nel testo vengono inserite aggravanti specifiche che aumentano la pena da un terzo ai due terzi per diverse fattispecie di reato, in particolare per i reati di violenza sessuale, maltrattamenti contro i familiari e i conviventi, di interruzione non consensuale di gravidanza, atti persecutori e di diffusione non consensuale di materiale video o foto a contenuto sessualmente esplicito. 

Si dice soddisfatta Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. «L’introduzione del reato di femminicidio, considerata la sua assoluta specificità, irrobustire la formazione dei magistrati, soprattutto degli operatori del diritto e il potenziamento delle misure cautelari, sono scelte che si muovono sugli stessi binari percorsi dalla Commissione». 

Le reazioni delle opposizioni 

Arriva invece scetticismo dalle opposizioni. Le parlamentari del Partito democratico D’Elia, Ferrari, Forattini, Ghio, Sensi e Valente sottolineano: «Non possiamo non rilevare però che il governo agisce con misure penali che intervengono a violenza o femminicidio oramai agiti, continuando ad ignorare l’azione preventiva dell’educazione».

«Femminicidio e violenza di genere sono fenomeni culturali, legati alla sperequazione di potere tra uomo e donna e a modelli sociali e di relazione segnati da un patriarcato che ancora persiste. Dobbiamo essere tutti consapevoli che la battaglia contro il Femminicidio e la violenza contro le donne si combatte prima di tutto sul terreno del cambiamento socioculturale e che non può certo bastare il diritto penale», continua la nota. 

Anche Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra vorrebbe più attenzione alla prevenzione. «La vita delle donne si salva prevenendo l’atto di violenza, prima ancora che reprimendo il gesto». E ancora, la questione della formazione: «Senza l’educazione affettiva e sentimentale nelle scuole, che dia forma al rispetto del corpo femminile, fino a fare del suo oltraggio un tabù, è un percorso ineludibile senza il quale ogni approccio securitario sarà insufficiente, così come sono essenziali la formazione di forze dell’ordine, magistratura, operatori e operatrici sociali e il finanziamento dei centri antiviolenza». 

Critica anche la reazione della Cgil: «Le donne vogliono diritti da vive». Per la segretaria confederale, Lara Ghiglione, «non ci si occupa mai dell’elemento culturale, del superamento della visione arcaica e patriarcale che fa da substrato alla violenza. E non si parla mai di lavoro stabile e retribuito per le donne, non si affronta il nodo della condizione delle donne nel lavoro e nella società, con tutte le disparità e le discriminazioni ormai tristemente note. È questa condizione di marginalità che espone alla violenza».

Per il sindacato, l’ombrello protettivo del governo per le donne va esteso ulteriormente. «Per l’esecutivo evidentemente le donne sono visibili e degne di attenzione solo se vittime, madri o mogli. E in queste due ultime vesti, unicamente come destinatarie di bonus di dubbia incisività o titolari del lavoro di cura. Di misure strutturali a sostegno della genitorialità neanche l’ombra, così come di provvedimenti per migliorare la qualità del lavoro, combattere discriminazioni e precarietà». 

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