Il forzista Gasparri viola deliberatamente la norma che vieta la propaganda nella giornate di voto. Ma se la prende con Report e la Rai. L’Associazione dei magistrati denuncia in un documento i continui attacchi dell’esecutivo contro l’indipendenza della magistratura e chiede al Csm di vigilare
I giudici emettono sentenze sgradite? Allora si cambiano le regole del gioco e si depotenziano le toghe. La stampa fa un lavoro di inchiesta? Allora avanti con esposti in procura per scoprire le fonti e raffiche di querele. Il parlamento chiede rispetto per le loro prerogative? Niente concessioni: si procede a colpi di decreti e questioni di fiducia per silenziare Camera e Senato.
Lo strappo e la forzatura come stili di vita governativi dell’era di Giorgia Meloni, insomma. E anche l’ennesimo steccato è stato abbattuto dalla destra: la rinnegazione del silenzio elettorale.
Gasparri contro il silenzio
A fare da testa di ariete ci ha pensato Maurizio Gasparri, ex ministro e ora capogruppo al Senato di Forza Italia. «Invito gli elettori a votare i candidati presidenti Tesei in Umbria e Ugolini in Emilia-Romagna». Per chiudere il cerchio, ha chiesto il voto al suo partito, visto che le urne resteranno aperte fino a domani, alle ore 15, e nella prima giornata di votazioni l’affluenza è stata in calo. Un problema per tutti, in realtà.
Ma l’obiettivo non era quello di favorire la partecipazione al voto. Anche perché appare difficile immaginare che l’appello di Gasparri faccia accorrere orde di cittadini ai seggi per le regionali. Il risultato reale è l’ennesima sgrammaticatura sulle regole democratiche.
Tuttavia, il presidente dei senatori forzisti ha addossato la colpa agli altri: «La Rai, con Report, ha violato il silenzio elettorale (per la messa in onda di una puntata sui candidati alle regionali, ndr)». Così il parlamentare di FI ha visto un “liberi tutti”.
Angelo Bonelli, leader di Europa Verde, ha messo in chiaro le cose: «Il silenzio elettorale, per legge, si applica esclusivamente alle aree interessate al voto – in questo caso Emilia-Romagna e Umbria – e riguarda la propaganda di programmi e candidati partecipanti alla competizione».
La violazione del silenzio non è certo una novità firmata Gasparri. Anzi. Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia, è stato uno dei capostipiti con comizi improvvisati per strada nelle ore di teorico silenzio.
Meloni non è stata da meno con il video postato, nelle ore che vietavano messaggi politici prima del voto, in cui aveva in mano due meloni, il frutto che richiama il suo cognome come un messaggio non proprio subliminale su chi scegliere nel segreto dell’urna.
Esempi diversi, ma che rendono l’idea. L’affaire Gasparri può quindi diventare il grimaldello per scardinare definitivamente la legge, già spesso contestata o aggirata. Ancora di più nell’epoca della comunicazione digitale.
La protesta dei magistrati
Del resto la destra meloniana sta applicando lo schema dello strappo su ogni versante. La tensione con le toghe resta alta. Di fronte alle sentenze sgradite al governo, come quelle sulle deportazioni dei migranti in Albania, la strategia è stata di provare cambiare le norme.
Lo prevede l’emendamento di Sara Kelany (FdI) al decreto Flussi, in esame a Montecitorio: la competenza viene affidata alle Corti d’appello. L’Associazione nazionale magistrati (Anm), dopo la serie di attacchi, ha deciso di farsi sentire ufficialmente.
Per questo ha approvato un documento in cui chiede al Csm di tutelare «l’autonomia e l’indipendenza» del potere giudiziario. Nel testo dell’Anm ci sono passaggi che fanno emergere la preoccupazione rispetto alla postura assunta dal governo Meloni e alle riforme annunciate, inclusa la separazione delle carriere, attualmente ferma solo per un ingorgo di lavori parlamentari: «Abbiamo assistito da parte di una certa politica ad attacchi sempre più frequenti a provvedimenti resi da magistrati italiani nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali».
Per l’Anm è «un attacco alla giurisdizione strumentale a screditare la magistratura». La replica della Lega è la fotografia dell’incomunicabilità: «Per screditare la magistratura, basta la magistratura», ha scritto in una nota il partito di Matteo Salvini. Ancora una volta affiora la mancanza di volontà al confronto.
Un altro caso è rappresentato dal tentativo di forzatura sull’elezione del giudice mancante nella Corte costituzionale. Subodorando la possibile bocciatura dell’autonomia differenziata, Meloni aveva pensato nelle scorse settimane al blitz in parlamento per far eleggere alla Consulta il suo consulente legislativo, Francesco Saverio Marini, senza cercare un confronto con le altre forze politiche. Missione fallita, ma esempio della solita logica dello strappo.
Resta, infine, sotto gli occhi di tutti lo svilimento del ruolo del parlamento. Lo stile adottato nelle ultime manovre è solo il caso più impattante. Lo scorso anno c’è stato l’invito, dal sapore del divieto, ai parlamentari del centrodestra a non presentare emendamenti.
La legge di Bilancio, in esame alla Camera, ha scongiurato il bis di questo approccio, ma la strada tracciata è di ridurre al minimo la discussione. Delle proposte presentate, solo 250 saranno esaminate e votate.
A questo si somma il numero elevato di voti di fiducia in aula: sono 69 dall’insediamento del governo, con la media di 2,8 ogni mese sullo stesso ritmo degli esecutivi tecnici di Monti e Draghi, che per loro natura eterogenea erano costretti a blindare i provvedimenti. Ma senza arrivare al corpo a corpo con le altre istituzioni.
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