Nello stesso giorno in cui si va alle urne per rinnovare il parlamento europeo, andranno al voto 27 città capoluogo. Il centrosinistra ne governa dodici. Obiettivo: tenere le proprie città e segnare qualche “gol” in trasferta
Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia, Potenza. In queste sei città capoluogo, soprattutto ma non solo, si gioca l’altra sfida fra centrosinistra e destra del prossimo weekend. Anche se questa competizione fin qui è praticamente scomparsa dai radar nazionali. Meglio così, almeno per i candidati sindaci: perché la contemporanea sfida delle europee provoca continui inciampi a quella delle amministrative.
Perché da una parte c’è la campagna elettorale ciascuno per sé e tutti contro tutti, dall’altra quasi ovunque gli schieramenti si presentano in coalizione, e dunque gli aspiranti primi cittadini di una parte e dell’altra temono come la peste le polemiche fra alleati, che trasformano in una via crucis l’imperativo di tenere insieme le coalizioni.
La competizione parallela
I numeri sono di quelli che contano. Il prossimo 8 e 9 giugno ci sono 17 milioni di elettori italiani (per l’esattezza 16.884.188) che vanno al voto, almeno sulla carta, in quasi la metà dei comuni italiani: 3.715 su 7.896. Ventisette sono capoluoghi di provincia: i dodici ora governati dalla destra sono Ascoli Piceno, Biella, Cagliari, Ferrara, Forlì, Pavia, Perugia, Pescara, Potenza, Sassari, Vercelli e Vibo Valentia; gli altrettanti dodici governati dalla sinistra sono Bari, Bergamo, Firenze, Lecce, Livorno, Modena, Pesaro, Prato, Reggio Emilia, Rovigo, Verbania, Cremona; poi due da M5s (Campobasso e Caltanissetta) e un’amministrazione civica (Avellino).
Lo schieramento di centrosinistra, in attesa di pesarsi alla corsa per Bruxelles, in quest’altra competizione è sicuro di guadagnare qualche posizione nei sette comuni considerati contesi: compensando, viene spiegato, magari ai ballottaggi eventuali del 23 e 24 di giugno, alcune possibili sconfitte “in casa” con qualche vittoria in trasferta. Per esempio il Pd conta di mantenere Bergamo, il cui sindaco uscente è Giorgio Gori (candidato alle europee per il Pd), Verbania e Lecce, dove pure l’uscente Carlo Salvemini è sfidato dalla storica leader Adriana Poli Bortone. Ma è certo di vincere a Cagliari, e crede di potersela giocare contro gli avversari uscenti Pescara, Sassari e Pavia.
Capoluoghi contesi
Nei sei capoluoghi di regione, invece, il centrosinistra parte in svantaggio, cioè governa meno città della destra. Ma punta alle conferme e già conta su qualche vittoria. Bari dovrebbe essere confermata: l’uscente è il sindaco Antonio Decaro, oggi eurocandidato del Pd; i due candidati di sinistra, Vito Leccese e Michele Laforgia, si sono promessi reciproco sostegno al secondo turno contro Fabio Romito, sostenuto da tutto il centrodestra. La campagna è stata travagliata e funestata: travagliata dalla rottura delle mancate primarie, e funestata dalle inchieste (pende sulla prossima amministrazione una curiosa ipotesi di scioglimento per mafia che però riguarda quella uscente), ma è difficile che la destra espugni la città.
A Cagliari, governata fin qui da Paolo Truzzu (FdI), Massimo Zedda (centrosinistra più M5s), almeno stando agli ultimi sondaggi pubblicati, era dato in vantaggio rispetto all’omonima leghista Alessandra Zedda; a Campobasso Marialuisa Forte (con Pd, M5s e Avs) sarebbe favorita rispetto al nome della destra, l’ex assessore al bilancio Aldo De Benedittis. A Firenze la sinistra ha ben cinque candidati al primo turno: Sara Funaro (Pd e centrosinistra), Lorenzo Masi (M5s), Stefania Saccardi, di Iv ma anche vicepresidente della regione Toscana, Cecilia Del Re, ex Pd (ha fondato una sua civica), e Dmitrij Palagi, che ha messo insieme il mondo della sinistra-sinistra.
Una frantumazione che rende quasi certo il secondo turno (l’uscente Dario Nardella per due volte ha vinto al primo), dove si giocherà una partita tutta nuova sui possibili apparentamenti fra centrosinistra, M5s e Iv. Ma questo, nonostante tutto, non aumenta le chance del direttore del museo di Capodimonte Eike Schmidt, candidato della destra. Il quale peraltro, secondo il parere di alcuni giuristi – in primis quello dell’avvocato Gianluigi Pellegrino – sarebbe ineleggibile: doveva dimettersi prima di depositare la sua candidatura.
A Potenza la destra è certa di vincere. Le conseguenze della sconfitta della sinistra alle regionali non hanno lasciato molte possibilità al capoluogo, in cui la destra ha prevalso anche in quella competizione.
Ma lo strascico di quel voto si sente anche dalla parte dei vincenti: che schierano il leghista Francesco Fanelli, attuale vice del governatore Vito Bardi. Il vincitore del 22 aprile è stato proclamato ufficialmente il 24 maggio, ma ha già infranto lo statuto regionale. Doveva nominare la sua giunta entro ieri, ma non l’ha fatto e non se ne cura, in sprezzo alle regole, come ha denunciato Piero Lacorazza, consigliere regionale del Pd: anzi ha annunciato che lo farà dopo le europee, evidentemente per valutare eventuali nuovi equilibri nazionali.
Difficile ma non impossibile la partita perugina, per la sinistra: l’outsider Vittoria Ferdinandi, sostenuta dalla sinistra, recupera terreno su Margherita Scoccia, assessora uscente della giunta di Andrea Romizi, al governo da due mandati.
Prove generali di regionali
Qui si fanno le prove generali delle elezioni regionali umbre, che si terranno in autunno. La destra è favorita. Entro fine anno si voterà anche in Emilia-Romagna, visto che il presidente Stefano Bonaccini, agli sgoccioli del suo secondo mandato, si è dimesso per correre alle europee. E anche qui il voto dirà qualcosa delle prossime regionali, sulle quali la destra cerca una vittoria storica, già mancata dalla Lega nel gennaio 2020.
Vanno al voto Modena, Reggio Emilia, Cesena, Ferrara, e Forlì. Le prime tre sono amministrate dalla sinistra, le ultime due dalla destra. Poche speranze infine, per non dire nessuna, nell’unica regione che va al voto l’8 e il 9 giugno, il Piemonte, il Pd e i Cinque stelle corrono divisi, e preparano il bis del forzista Alberto Cirio.
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