Sembra una trama, questa, la realtà che supera la fantasia. La ministra Eugenia Roccella e Arcigay insieme. Martedì 11 febbraio, al ministero delle Pari Opportunità si terrà un incontro a porte chiuse per: «per ribadire con forza la necessità di un intervento tempestivo, a tutela dell’incolumità de* cittadin* Lgbtqia+». Lei portavoce del Family day, oggi ministra alle pari opportunità, alla famiglia (declinata al singolare) e alla natalità, Arcigay la più importante associazione nazionale per le persone Lgbt, presente in 72 città italiane. L’incontro nasce da una richiesta mandata dall’associazione arcobaleno attraverso un comunicato stampa datato 17 gennaio.

Un mese degli orrori per la comunità iniziato con due gravi aggressioni registrate nella Capitale ai danni di due coppie di ragazzi omosessuali. «Questi atti di barbarie non solo mettono a rischio la sicurezza fisica delle persone coinvolte, ma minano anche i principi di libertà, pari dignità e rispetto dettati dalla nostra Costituzione», commentava Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay «La situazione è molto grave, senza precedenti e il Governo resta fermo a guardare: perciò oggi stesso abbiamo inviato una richiesta di incontro urgente alla Ministra Roccella».

Passa quasi un mese. Nessuno si aspettava una risposta dalla ministra Roccella, colei che propose un referendum per abolire le unioni civili, («vanno verso la fine dell'umano» commentò nel 2018, insieme a Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Maurizio Gasparri), nessuno immaginava che proprio lei avrebbe aperto le porte del suo ministero a un’associazione Lgbt.

Da ministra Roccella ha scelto di non finanziare la nascita di nuovi centri che accolgono le persone Lgbt in condizioni di estrema vulnerabilità, cioè buttate fuori casa dai propri parenti, licenziate, aggredite (bando pubblicato il 24 luglio 2024). Ha istituito una commissione che si concentra sull'uso della triptorelina, un farmaco che può fungere da bloccante della pubertà per i giovani con varianza di genere ma che per molti attivisti punta a smontare la legge n. 164 del 1982, quella per la riaffermazione di genere per le persone transgender.

Contraria ai corsi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole, il 17 maggio dello scorso anno ha inoltre dichiarato: «Il governo italiano è in prima linea contro ogni discriminazione mentre la sinistra usa la lotta contro le discriminazioni legate all'orientamento sessuale per nascondere il suo vero obiettivo, il gender». E ha rivendicato la scelta di non firmare la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbt presentata dalla presidenza di turno belga. Isolando l’Italia insieme a Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Rep. Ceca e Slovacchia.

Arcigay da tempo cerca di inchiodare alle sue responsabilità la ministra forte sostenitrice della lobby anti-diritti Pro-Vita come raccontato su Domani. «Parlare di “teoria gender” equivale più o meno come dire di aver paura del lupo mannaro, cioè di qualcosa che non esiste», ricordava Piazzoni che incontrerà l’11 febbraio Roccella. 

«La ministra farebbe bene a preoccuparsi invece del fatto che gli ultimi report dell’agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea vedono l’Italia scivolare indietro nelle classifiche europee sull’ inclusività e portano dei dati incontrovertibili di peggioramento della situazione con il 68 per cento degli studenti lgbt+ che dichiara di aver subito atti di bullismo, scherno o discriminazione a scuola contro il 43 per cento di quattro anni fa. Roccella può aver le idee che vuole su questi temi, ma come ministra alle pari opportunità ha il dovere di prendersi la responsabilità di quei numeri, con azioni serie».

L’incontro adesso ci sarà e si presenta per il governo come una grande opportunità come commenta lo scienziato politico Massimo Prearo: «Rappresenta l’alibi burocratico per giustificare i finanziamenti dovuti agli occhi di un elettorato percepito come ostile ai diritti lgbtq, a un movimento Pro Vita e Famiglia che spinge per tagliare risorse e capacità delle organizzazioni lgbt e per adottare un programma integrale anti-gender e anti-lgbt» ma non solo.

«Una mossa di facciata per fare i compiti a casa che si aspetta l’Unione Europea che è all’origine di quei finanziamenti e che, sulle questioni lgbt ha sempre esercitato una funzione di pressione sull’Italia. Di fatto, oltre queste misure antidiscriminatorie, non c’è nulla. Senza una sostanziale e concreta promozione dell’uguaglianza dei diritti la politica antidiscriminatoria è destinata a fallire».

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