Per gli azzurri «il successo è merito di Tajani», i leghisti non lo voteranno. Meloni deve gestire la riassegnazione delle sue deleghe ministeriali
Le cose sembravano essersi compromesse invece, alla fine, l’operazione Raffaele Fitto è riuscita. L’ormai ex ministro del governo Meloni è diventato vicepresidente esecutivo della Commissione europea nonostante i mugugni del gruppo Socialista. E in Italia la vittoria può essere equamente divisa tra Fratelli d’Italia e Forza Italia.
L’operazione non sarebbe riuscita senza l’apporto del Partito popolare europeo di cui FI fa parte, che, nel caso di stop a Fitto, ha minacciato il veto sulla socialista Teresa Ribera. Così l’Italia ha incassato il suo obolo politico e Giorgia Meloni ha fatto altrettanto, portando un membro di Ecr – formalmente fuori dalla maggioranza di Ursula von der Leyen – dentro l’esecutivo europeo.
Un sospiro di sollievo per la premier, che aveva puntato tutto sul suo uomo di fiducia per il Pnrr e rivendicato il successo della vicepresidenza esecutiva prima che venisse formalmente assegnata.
Le deleghe
Ora, però, si apre la grande questione della sua sostituzione, o meglio della riassegnazione delle sue deleghe. Da un lato quella per gli Affari europei, dall’altro quella al Pnrr. Secondo le ricostruzioni, il ministero di Fitto potrebbe finire nelle mani di un tecnico e il turbinio di nomi è ampio. Il più impegnativo tra i vagliati è quello di Elisabetta Belloni, attuale direttrice del Dis, su cui però peserebbe la perplessità di Antonio Tajani. L’intenzione, comunque, sarebbe quella di puntare su un tecnico.
Diversa, invece, la situazione per la gestione del Pnrr, che però è stata già quasi del tutto accentrata a palazzo Chigi. E là dovrebbe rimanere. L’intento sarebbe quello di portare le deleghe in capo ai sottosegretari alla presidenza del Consiglio, spacchettate e probabilmente con l’aggiunta di un sottosegretariato, per cui sono in pole position i meloniani Ylenia Lucaselli o il presidente della commissione Finanze, Marco Osnato. Del resto il piano è ormai a metà del guado, visto che finirà nel 2026, e la squadra che l’ha portato fino a qui è rodata. Il filo con il neo vicepresidente della Commissione europea, poi, dovrà rimanere saldo.
L’aspetto più spinoso rimane la gestione di quello che Meloni non vuole che sia avvertito come un rimpasto di governo. Cosa non facile, dopo l’avvicendamento traumatico al ministero della Cultura, anche la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, è assediata dai procedimenti giudiziari.
I rapporti nel governo
Esiste però una questione non secondaria di rapporti tra gli alleati. Meloni sa che deve tenere gli occhi ben aperti – per ragioni opposte – sia con Forza Italia sia con la Lega.
Dentro Forza Italia c’è la convinzione che il lavoro diplomatico degli azzurri dentro il Ppe abbia contribuito in maniera decisiva alla nomina di Fitto. E che FdI dovrebbe ringraziare in qualche modo. Non a caso ieri il ministro degli Esteri Tajani ha detto che «c’è una maggioranza favorevole a Fitto, quindi non c’è alcuna preoccupazione perché il parlamento va a votare l’intera Commissione», che «inizierà il suo lavoro a partire dal mese di dicembre».
«Senza di noi dentro il Ppe, Fitto non starebbe dove sta» dice un importante esponente del partito, «la sua elezione è una vittoria tanto nostra quanto di Meloni». E in chiaro lo ha ribadito anche Deborah Bergamini, vicesegretaria nazionale e responsabile Esteri: «È un successo di cui ha merito il segretario nazionale di Forza Italia Antonio Tajani. Ora è urgente che la Commissione europea si metta al lavoro». Tradotto: un dividendo andrà staccato nei confronti dell’alleato che così bene ha svolto il suo ruolo di scudo all’eurodeputato meloniano.
Se la premier deve stare attenta agli amici, altrettanto deve fare anche con i leghisti, che si devono barcamenare con posizioni inconciliabili: da un lato il mancato voto alla Commissione in Europa, dall’altro il plauso – almeno pro forma – in parlamento. «La Lega, come noto, non sostiene la maggioranza di von der Leyen in Ue ma applaude in maniera convinta alla designazione di Fitto, che è andata a buon fine. È un risultato per il nostro paese di cui dobbiamo essere soddisfatti perché consentirà di avere un’interlocuzione qualificata e competente all’interno della Commissione europea», ha detto, con una prova di equilibrismo, il deputato della Lega Stefano Candiani, parlando di «differenza tra un’opposizione di parte e l’interesse nazionale da difendere».
Toni concilianti a Roma, molto più duri a Bruxelles, dove il capo delegazione della Lega, Paolo Borchia, ha definito la nuova Commissione «di qualità e competenze basse» e «fin da ora annuncio che non c’è la disponibilità da parte della Lega a votarla», pur con l’inciso sull’«eccezione» di Raffaele Fitto.
La sensazione molto chiara arrivata a Fratelli d’Italia è che la Lega sia pronta a sfidare nel merito il partito della premier, che ora ha un piede in due scarpe: all’opposizione in parlamento europeo ma dentro la Commissione con un suo uomo. Fitto ha «deleghe importanti, in particolare per il nostro paese», ha detto Gian Marco Centinaio, «siamo pronti a dialogare su temi importanti come il superamento della direttiva Bolkestein per le categorie dei balneari, delle guide turistiche e dei venditori ambulanti».
In altre parole, Fitto dovrà destreggiarsi tra il ruolo di commissario e le aspettative nei suoi confronti da parte degli alleati di governo in Italia. La Lega ha già anticipato un approccio molto critico rispetto alla linea Ursula e proprio il commissario italiano non potrà non farsi carico, almeno informalmente, delle posizioni di un pezzo dell’esecutivo.
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