Rinviato il via libera al provvedimento che inaspriva le sanzioni sull’immigrazione. Dopo i ritardi arrivano i numeri del Mef sul Piano di bilancio
La bulimia di decreti non conosce soste nel governo Meloni. A palazzo Chigi erano in agenda due provvedimenti, ma con la foga di dare in pasto all’opinione pubblica nuove norme contro le emergenze, vere o presunte, la destra ha mostrato la solita improvvisazione.
Nel Consiglio dei ministri di ieri, è stata rinviata l’approvazione del decreto Flussi, presentato come lo strumento anti caporalato e sfruttamento dei lavoratori, ma che aveva le caratteristiche di essere l’ennesimo mezzo per fare propaganda sull’immigrazione.
Il tutto in nome della stretta securitaria. L’unico testo licenziato è quello sul contrasto, tanto atteso, contro le aggressioni al personale sanitario. L’attenzione è stata attirata però dallo stop al decreto Flussi. Tra le misure presenti nella bozza, fioccano interventi durissimi come la sanzione alle organizzazioni non governative che aiutano, con un aereo, i migranti in mare.
I responsabili sarebbero multati fino a 10mila euro per ogni velivolo individuato. E non solo: il decreto prevedeva, nella sua prima formulazione, la revoca del permesso di soggiorno o l’espulsione agli stranieri condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
A palazzo Chigi, e tra i partiti di maggioranza, c’è chi ha ravvisato gli estremi per dei possibili rilievi del Quirinale di fronte a misure estremamente punitive e a rischio di incostituzionalità.
Meglio prendere almeno altri giorni di tempo per capire come limare il testo. A metterci la faccia sulla frenata è stato il sottosegretario presidenza, Alfredo Mantovano: «È una materia molto complessa che richiede qualche affinamento che avverrà auspicabilmente al prossimo Consiglio dei ministri». Qualcosa è andato storto, anche se Mantovano ha escluso «divergenze politiche».
I numeri di Giorgetti
Tra decreti approvati o rinviati, è arrivata alla buon’ora la versione definitiva del Piano strutturale di bilancio, presentata da Giancarlo Giorgetti. Un documento dai contenuti ottimistici.
Nella bozza anticipata dall’agenzia Public policy, il Mef formula le prime previsioni sulla prossima legge di Bilancio: «Complessivamente la manovra accrescerebbe il livello del Pil dello 0,2 per cento nel 2025 fino a raggiungere lo 0,4 per cento nel 2027 fino a raggiungere lo 0,4 per cento nel 2027». La previsione sul rapporto deficit/Pil è quella del 3,3 per cento per il 2025 con la discesa al 2,8 per cento nel 2026. Mentre sull’impatto del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Giorgetti mette nero su bianco: «L’insieme delle riforme Pnrr implementate produrrebbe un incremento del livello del Pil del 2,2 per cento al 2031. Il completamento delle riforme programmate produrrebbe, al 2031, un ulteriore aumento di 1,7 punti percentuali».
Stime che non convincono del tutto. «Non contento di aver sbagliato i conti per due anni, con le precedenti manovre, oggi il ministro dell’Economia, si avventura in previsioni sul Pil per il 2025 che nessun altro organo indipendente prevede o registra», sottolinea il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia.
Il Piano è poi ricco di impegni futuri, tra cui «un disegno di legge per la realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale e di altri interventi strategici in materia di lavori pubblici e della logistica». Smentita, poi, la narrazione sull’abbassamento dell’età pensionistica. Al vaglio c’è la riforma per «i dipendenti pubblici e del personale militare, rispettivamente fissata a 65 e 60 anni» per definire «soluzioni che consentano un allungamento della vita lavorativa». Altro che Quota 41.
Il testo è stato trasmesso alle camere che, nei prossimi giorni, avvieranno l’esame per garantire che entro il 15 ottobre il governo possa girarlo a Bruxelles.
Medici sotto attacco
Così tra un decreto rinviato e il mantra di autoconvincimento sullo slancio dell’economia italiana, l’esecutivo ha licenziato il provvedimento contro le aggressioni al personale sanitario.
Un problema atavico che i meloniani hanno avvolto con l’aura dell’emergenza, inasprendo – come in tanti altri casi – le pene che arrivano fino a cinque anni per danni alle «pertinenze sanitarie», ha spiegato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. E allo stesso tempo è stato inserito il differimento dell’arresto entro 48 ore dall’aggressione. Un pannicello caldo appoggiato per dare una risposta, almeno di facciata, a medici e infermieri bersaglio di violenze.
Ancora una volta il governo sceglie la strategia dello spot: norme senza stanziamenti.
Il remake, in materia sanitaria, di quanto accaduto con il decreto liste d’attesa: una sequenza di buone intenzioni, vanificate dall’assenza di risorse.
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