L’innovativo progetto editoriale di Zambon in tre volumi, edito da Mondadori, si estende dalla fine del I secolo all’età contemporanea e comprende ambienti diversissimi tra loro. Testi greci e bizantini, tradizioni orientali, poi quella latina e l’italiana medievale, la mistica tedesca e fiamminga, francese, italiana moderna. E, infine, gli autori spagnoli, portoghesi e catalani, quelli inglesi e americani, i russi e gli svedesi
Un continente sconosciuto è svelato ora da tre volumi intitolati La mistica cristiana nei Meridiani di Mondadori. Frutto di un innovativo progetto editoriale di Francesco Zambon, le cinquemila pagine dell’antologia, curata da una ventina di specialisti, offrono sul tema una panoramica molto ampia. L’impresa è nuova perché l’argomento – illustrato da centinaia di brani affascinanti – oltrepassa ogni limite confessionale, pur dedicato soprattutto alla tradizione cristiana, ma «in tutte le sue espressioni, comprese quelle che sono state accusate di eterodossia».
Accanto a figure gigantesche come Ildegarda di Bingen e Teresa d’Ávila e ad autori conosciuti – Isacco di Ninive, Ramón Llull, Marsilio Ficino e Nicolò Cusano, Giovanni della Croce, Pascal, Emerson ed Eliot, Charles de Foucauld e Thomas Merton – compaiono così nei tre volumi personaggi controversi o addirittura eretici: come l’antipapa medievale Pedro de Luna, Giordano Bruno e David Lazzaretti, Maria Valtorta e Pio da Pietrelcina; ma anche il visionario Emanuel Swedenborg, Schleiermacher, Rilke e Jung, Sergio di Radonež e l’autore dei Racconti di un pellegrino russo.
La raccolta si estende dalla fine del I secolo all’età contemporanea e comprende ambienti diversissimi tra loro. I testi greci e bizantini, tradizioni orientali come la siriaca e l’armena, poi quella latina e l’italiana medievale occupano il primo volume. Il secondo è dedicato alla mistica tedesca e fiamminga, francese, italiana moderna. Nel terzo – da poco pubblicato – sono infine riuniti gli autori spagnoli, portoghesi e catalani, quelli inglesi e americani, i russi e gli svedesi. Non pochi brani sono tradotti per la prima volta o appositamente per questa edizione, che per i componimenti poetici dà opportunamente anche gli originali.
Oggi il termine “mistica” è usato per indicare in modo piuttosto generico un’«esperienza spirituale perfetta», un «rapporto personale con Dio» oppure un’«unione con lui». La radice del vocabolo greco si riferisce però «a tutto ciò che è o deve rimanere segreto o nascosto», e dunque «deve essere taciuto», ricorda Zambon a proposito del sostantivo mystérion.
Misteri sono definiti i culti pagani riservati agli iniziati. Ma molto presto in ambito cristiano la stessa parola indica il piano divino di «salvare l’uomo separato da Dio nel peccato» sintetizza Hugo Rahner, ed è il mistero – al singolare o al plurale – del «regno di Dio» di cui parla Gesù nei vangeli. Già poco dopo la metà del I secolo l’apostolo Paolo, nel penultimo capitolo della seconda lettera ai Corinzi racconta in terza persona una sua esperienza mistica. «Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa – se nel corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa – fu rapito fino al terzo cielo. E so di quest’uomo – se nel corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa – che fu rapito in paradiso e ascoltò parole che non è possibile all’uomo pronunciare».
Un ventennio prima, intorno all’anno 36, lo stesso Paolo, diretto a Damasco per arrestare i seguaci di Cristo e accecato da una luce, aveva udito una frase sconvolgente: «Io sono Gesù che tu perseguiti». Il mistico medievale Meister Eckart commenta le parole degli Atti degli apostoli – il persecutore abbagliato si rialzò «da terra e con gli occhi aperti vide il nulla» – e ragiona: «Mi pare che questa paroletta abbia un quadruplice senso. Il primo è questo: quando si alzò da terra, vide con gli occhi aperti il nulla, e questo nulla era Dio; infatti, quando vide Dio, lo chiama un nulla. Il secondo senso è questo: quando si alzò, non vide null’altro che Dio. Il terzo: in tutte le cose, non vide null’altro che Dio. Il quarto: quando vide Dio, vide tutte le cose come un nulla».
Bibbia e platonismo
Alle origini del cristianesimo confluiscono, anche nella formazione della tradizione spirituale, sia le radici ebraiche sia correnti filosofiche e religiose ellenistiche. A rielaborarle sono all’inizio i pensatori gnostici e i loro avversari “ortodossi”. Tra questi Ireneo, vescovo di Lione, e poi nel III secolo Origene, il maggiore rappresentante della scuola di Alessandria. «Osserva – ripeto – le pagine del vangelo e vedrai che gli evangelisti non hanno scritto favole e racconti, bensì misteri» dice l’intellettuale alessandrino in un’omelia sul Cantico dei cantici.
Più tardi Bibbia e platonismo s’incontrano in Gregorio di Nissa che presenta Mosè come esempio di vita mistica in un’ascesa vertiginosa verso Dio. Dalla fine dell’età tardoantica il complesso di scritti attribuiti al teologo mistico noto come Dionigi l’Areopagita – un neoplatonico originario forse della Siria – gode di una fortuna e di un’influenza enormi. La sua visione mistica e la descrizione delle gerarchie angeliche s’impongono lungo tutto il millennio bizantino e dilagano in occidente grazie a ripetute traduzioni, tanto che il misterioso autore viene celebrato da Dante nel XXVIII canto del Paradiso: «E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise che li nomò e distinse com’io».
Deliziosa è la vicenda, narrata da uno dei primi seguaci di san Francesco, di un’aristocratica fiorentina, Umiliana Cerchi, rimasta vedova giovanissima e che guarisce un bimbo gravemente malato prendendo su di sé miracolosamente le sue insopportabili sofferenze. All’improvviso la donna vede un bambino «di quattro anni o meno» che «giocava con impegno» e, credendolo un angelo, gli chiede: «Non sai fare altro che giocare?».
Allora «il bambino, con il suo sguardo tranquillo, le rispose: “Che altro volete che faccia?”. E la benedetta Umiliana umilmente disse: “Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio”. E il bambino disse: “Credi che sia bene e sia giusto che uno parli di sé stesso?”. E con queste parole disparve il bambino Gesù, lasciandola guarita, scomparsa del tutto la malattia».
Tempi recenti
Dai secoli del medioevo e fino all’età contemporanea colpisce l’importanza delle donne mistiche, oltre un terzo del totale, un numero altissimo. Tra loro, figure molto note riconosciute in tempi recenti dalla chiesa cattolica: Teresa d’Ávila, prima donna dichiarata, nel 1970 insieme a Caterina da Siena, dottore della chiesa da Paolo VI; la giovanissima Thérèse de Lisieux, anch’essa dottore della chiesa per decisione di Giovanni Paolo II; Brigida di Svezia e Edith Stein, dal 1999 compatrone d’Europa con Caterina da Siena.
Ildegarda di Bingen, la «profetessa della Germania» che nel XII secolo predicava nelle cattedrali dell’impero, autrice di scritti teologici e scientifici, poesie e musiche straordinariamente evocative, viene poi canonizzata con una procedura speciale e proclamata dottore della chiesa da Benedetto XVI. Ma insieme alla badessa medievale figurano la beghina Marguerite Porete, arsa sul rogo nel 1310 e riscoperta da Romana Guarnieri, la poetessa Emily Dickinson, la filosofa María Zambrano.
Importante nei testi è il rapporto tra mistica e linguaggio, in particolare quello della poesia. Quella contemporanea, in particolare, «è attraversata in profondità da questo sforzo di varcare le frontiere della lingua per attingere la realtà suprema». Come appare con chiarezza in Paul Celan: «Il poema assoluto – no, questo sicuramente non esiste, questo non può esistere! Ma ben esiste, con ogni poema reale, esiste, con il più modesto dei poemi, quell’ineludibile problema; e quella inaudita pretesa», affermazione che secondo Zambon è la «migliore descrizione della lingua dei mistici».
Tra le mistiche contemporanee spicca l’intellettuale ebrea Simone Weil, della quale Adelphi ha appena riedito in modo definitivo ed eccellente l’Attesa di Dio, definito da Cristina Campo «un libro immenso». In questi scritti abissali – pubblicati postumi dal domenicano Joseph-Marie Perrin, destinatario tra il 1941 e il 1942 di sei lettere dell’autrice che costituiscono il nucleo dell’opera – si tocca quasi fisicamente la potenza bruciante dello sguardo mistico.
«Quand’anche non ci fosse dato altro che la vita di quaggiù, quand’anche il momento della morte non ci portasse alcunché di nuovo, l’infinita sovrabbondanza della misericordia divina è già segretamente presente su questa terra nella sua interezza» scrive Weil al giovane religioso. «Perché già quaggiù – spiega – riceviamo la capacità di amare Dio e di rappresentarcelo in tutta certezza come avente per sostanza la gioia reale, eterna, perfetta e infinita. Attraverso i veli della carne, dall’alto giungono a noi presentimenti d’eternità sufficienti a cancellare ogni dubbio al riguardo».
© Riproduzione riservata