Il provvedimento è andato avanti a fatica, arriva la Naspi limitata e un altro no al salario minimo. Il ministro è rimasto schiacciato dalle pretese della sua Lega e di FI. Solo Meloni lo difende
Un’operazione di «autolesionismo» portata avanti dal governo. Ma sulla manovra c’è stato anche dell’altro: un mix di pressappochismo, di antichi vizi, come l’infarcimento del testo di mancette per piccole opere sui territori d’elezione, e la (solita) scarsa attenzione verso le prerogative del parlamento.
Non sono mancate alcune scelte ideologiche in direzione conservatrice: l’ennesimo “no” al salario minimo, bocciatura al potenziamento dei fondi per la sanità e stop addirittura alle maggiori tutele per i rider.
Nuova manovra
L’iter della legge di Bilancio è dunque un perfetto ritratto della destra al potere. La riscrittura di mezza finanziaria, in poche ore e nottetempo, ha costretto al tour de force delle votazioni per chiudere entro martedì 17 dicembre, di buon mattino, e dare mandato al relatore in aula. Ma causa delle comunicazioni di Giorgia Meloni a Montecitorio in vista del Consiglio europeo, l’esame nell’emiciclo entrerà nel vivo solo a metà settimana, costringendo all’ennesima corsa a tappe forzate. Con l’apposizione della fiducia.
C’è stata «una gestione della discussione estremamente disordinata, con i testi dei relatori sovrapposti a quelli presentati dalle opposizioni, senza che questi siano stati nemmeno citati o riconosciuti», ha denunciato Ubaldo Pagano, capogruppo del Pd in commissione Bilancio, chiedendo che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, riferisse sullo stato dell’arte. Richiesta caduta nel vuoto.
Sarebbe bastato che tutte le misure, infilate last minute nella legge di Bilancio, confluissero in un decreto ad hoc da approvare già a gennaio. Era la linea suggerita da alcuni consulenti legislativi. Invece no. Per soddisfare gli appetiti dei partiti di maggioranza è stata prevista una miriade di piccole e grandi modifiche, dalla mini-espansione della platea della flat tax (da 30mila a 35mila per i lavoratori dipendenti) all’Ires premiale.
Un sovraccarico per la Ragioneria dello stato, indicata come primo capro espiatorio. Il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, ha però difeso il dipartimento affidato a Daria Perrotta. «Pretendo rispetto per chi è costretto a lavorare 30 ore di fila, dormendo sul divano in ufficio», ha affermato in un’intervista a Repubblica.
Ma, appunto, era sufficiente che il governo fosse più attento a non infilare emendamenti in ogni angolo. A cominciare dalla limitazione imposta alla Naspi, l’indennità di disoccupazione: chi verrà licenziato dopo essersi assentato per 15 giorni non potrà più richiedere il sussidio come accadeva finora, così come, nel caso di un rapporto di lavoro interrotto da un licenziamento dopo un impiego conclusosi con dimissioni volontarie, si potrà ricevere la Naspi solo se si sono versati almeno 13 settimane di contributi nel nuovo impiego. «Una misura anti elusione», si è difesa la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone.
In questa onda di modifiche al provvedimento, il risultato è che i senatori potrebbero dover tornare a Roma tra Natale e Capodanno per il via libera definitivo. «Tanti lavoratori lavorano il 27 e 28 dicembre e se il Senato dovrà stare aperto, starà aperto», ha detto il presidente Ignazio La Russa. Del resto a palazzo Madama, i più esperti avevano avvisato sul rischio di ritardi.
Alla fine a Giorgetti è stata imputata una conduzione quantomeno allegra della manovra, anche a causa della scarsa presa che esercita tra i compagni di viaggio al governo. Di sicuro è sempre più isolato e indebolito, difeso per forza di cose della sola premier Giorgia Meloni.
Anche la “sua” Lega risponde sempre meno alle iniziative del ministro. Basti pensare alla battaglia sulla tassazione delle criptovalute: Giorgetti la voleva portare al 42 per cento, i leghisti l’hanno stoppata all’aliquota attuale del 26 per cento. Mentre Forza Italia ha chiesto, e ottenuto, di cancellare l’estensione della webtax a tutte le aziende che facevano ricavi da contenuti digitali. Solo chi fattura oltre 750 milioni di euro sarà colpito dalla nuova versione della legge.
La misura sull’Ires premiale (con la tassazione ridotta per le aziende che assumono) è stata una corsa contro il tempo, un mezzo blitz, utile ad aumentare la confusione più che ad arricchire le imprese. In mezzo a tutto questo, c’è una sequenza di aumenti: della tassazione per voli alle scommesse ai pedaggi autostradali.
Motosega al contrario
Nella giornata di lunedì 16 dicembre è stata di fatto votata la parte più corposa della manovra con il via libera all’incremento delle risorse – per 120 milioni di euro – destinate alle missioni internazionali. Tra le varie novità anche il via libera all’emendamento delle opposizioni, spinto da Italia viva, per stanziare un milione aggiuntivo a favore del reddito di libertà. La maggioranza ha invece bocciato l’emendamento per la “legge-Griseri”, ossia il divieto di lavoro per i rider in caso di condizioni meteo particolarmente avverse. «Una proposta di buonsenso e di civiltà con una cifra da stanziare tra l’altro piccolissima rispetto agli stipendi dei ministri che si alzano», ha commentato la vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo.
Agli atti resta una manovra raffazzonata, che sarà ricordata soprattutto per l’aumento delle remunerazioni ai ministri non parlamentari, da Guido Crosetto ad Alessandro Giuli (Giuseppe Valditara ha annunciato che rinuncerà), equiparandole a quelle di deputati e senatori.
Si racconta di un Giorgetti affascinato dalle tesi economiche ultra-liberiste di Javier Milei. Solo che il presidente argentino, che si vanta di «odiare» lo stato, ha usato la motosega per tagliare i costi dei ministeri. In Italia, la curva Sud del nuovo idolo sudamericano, venerato come un Messi dalla politica, aumenta gli stipendi al gruppone di ministri e sottosegretari.
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