Identità diverse ma coesi. Il governo continua a ripetere il mantra secondo cui la tenuta della maggioranza non sarebbe in discussione, e lo fa così tanto da suggerire il contrario. L’ultimo appuntamento ieri, all’assemblea nazionale di Noi Moderati, dove Giorgia Meloni è intervenuta in collegamento: «La nostra coalizione è composta da forze politiche diverse, ognuna ha la sua identità e la sua storia che sono un valore aggiunto».

Segue un elenco degli elementi che renderebbero forte e coesa la maggioranza: «È la voglia di stare insieme», che permette «di fare sempre sintesi, trovare un punto di incontro, perché siamo uniti dalla stessa visione del mondo di fondo, perché crediamo negli stessi valori di riferimento, perché abbiamo idee compatibili, perché intendiamo portare avanti fondamentalmente gli stessi progetti».

Così anche gli alleati, Matteo Salvini e Antonio Tajani, dopo il braccio di ferro tra Lega e Forza Italia sulla proposta di tagliare il canone Rai e la sanità, all’assemblea del partito di Maurizio Lupi, hanno raccontato di essere uniti. «Questo è un governo in cui credo, che arriverà fino al 2027 nonostante il voto contrario su questo o quell’emendamento», ha detto il leader della Lega, mentre Tajani ha assicurato che «non c’è nessuna lite». E, ha aggiunto: «Non si illuda nessuno che ci siano delle divisioni profonde dentro questo governo. Andremo avanti fino alla fine della legislatura».

Il tentativo non è solo quello di mostrarsi uniti dopo settimane di tensioni interne. La presidente del Consiglio ha cercato di convincere di avere tutto sotto controllo, enunciando i risultati «inaspettati» raggiunti «in questi primi due anni di governo», anche grazie alla tanto citata unità, che secondo Meloni avrebbe permesso «di invertire quel declino al quale l’Italia sembrava ormai destinata». Per questo, ha aggiunto, l’esecutivo vuole «fare le riforme», «costruire una visione di sviluppo e di crescita di medio e lungo periodo per questa nazione».

«Manovra inadeguata»

A mettere in dubbio le parole della premier, oltre all’evidente turbolenza interna, non pochi fattori esterni. A partire dalla manovra economica, tuttora ferma in commissione alla Camera, contro la quale sono scesi in piazza 500mila lavoratori, che con lo sciopero generale del 29 novembre hanno fermato tutti i settori, pubblici e privati.

La settimana scorsa è stata la volta del comparto sanità, adesioni di medici e infermieri con punte superiori all’85 per cento, per protestare contro una legge di bilancio che non mantiene le promesse e che non pone rimedio, tra le altre cose, agli stipendi bassi e alle strutture fatiscenti. La fondazione Gimbe, in un’audizione alla Camera, aveva infatti evidenziato che per il prossimo quinquennio mancano 19 miliardi di euro al settore.

La manovra, per i sindacati e i lavoratori che hanno deciso di scioperare, prevede risorse insufficienti non solo per la sanità, anche per scuola e servizi, per il rinnovo dei contratti collettivi pubblici; così come azioni inadeguate per sostenere i salari lavoratori.

Invece, tutto sfugge di mano, con il settore automobilistico in cima all’elenco dei tavoli di crisi: dalla Piaggio che ha deciso di spostare la produzione in India per evitare i limiti ambientali europei, con la prospettiva di cassa integrazione per più di mille lavoratori, allo stabilimento Stellantis che ha subito un forte calo di produzione. Una legge di bilancio, «del tutto inadeguata a risolvere i problemi del paese», sostengono le sigle che hanno indetto lo sciopero, su cui però Fratelli d’Italia ha messo il cappello, tenendo il più possibile fuori dalla partita Forza Italia e Lega.

Riassegnare le deleghe

Lo stesso è accaduto per un altro nodo che, per la premier, rimane da sciogliere nel più breve tempo possibile: le deleghe di Raffaele Fitto, che ha lasciato il ministero per volare a Bruxelles dopo la nomina a commissario europeo per la Coesione e le riforme e vicepresidente esecutivo della Commissione Ue. Se Forza Italia ambisce alla delega agli Affari europei, Fitto ha suggerito a Meloni di non spacchettare i dossier e tenere insieme il dicastero, e cioè Pnrr, Sud, Coesione e Affari europei.

Sembra essere venuto meno lo schema iniziale che vedeva palazzo Chigi tenersi tutto il pacchetto. Sembra invece certo che l’incarico sia destinato a un politico di FdI. Intanto, ieri Tajani ha fatto un passo indietro, sostenendo che Forza Italia non abbia «mai chiesto un posto, mai preteso di avere poltrone, non è una battaglia per noi prioritaria».

Rimane, infine, lo spettro del rimpasto. Report è tornato a occuparsi del caso Visibilia che ha coinvolto la ministra Daniela Santanchè, indagata per truffa aggravata ai danni dello stato e, in un altro fascicolo, per falso in bilancio, con un focus su nuove anomalie nella gestione delle aziende e sul suicidio di Luca Ruffino, l’imprenditore che ha salvato Visibilia nel 2022.

Ad ogni modo, le parole all’insegna dell’unità non hanno avuto vita lunga: sempre all’assemblea Salvini si è smarcato da Tajani sui temi dell’Ucraina e della difesa comune, per il forzista «necessaria perché non possiamo chiedere sempre agli altri di proteggerci», mentre per Salvini occorre «andarci cauti».

Sull’invito del parlamento Ue di seguire gli Stati Uniti sulle armi a lunga distanza per colpire il territorio russo, per il leader della Lega «occorre assoluto equilibrio e buonsenso» e difendere il popolo ucraino aggredito è «sacrosanto» senza però «arrivare ai limiti della terza guerra mondiale». Divergenze che non rimangono solo sullo sfondo e di cui la premier dovrà farsi carico in vista dei molti fronti aperti.

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