«Giorgetti non parla a caso». Per i leghisti è tutto chiaro, l’intervento del ministro dell’Economia sui destini della Rai è da leggere come una rivendicazione di chi è davvero l’azionista di viale Mazzini, che propone i due nomi di presidente e amministratore delegato. Che l’inquilino di via XX settembre non sia il più loquace dei ministri è ben noto, ma le sue parole sull’eventuale privatizzazione e il futuro di Giampaolo Rossi hanno avuto letture molto differenti all’interno del centrodestra.

«Ritengo che Rossi sia una persona assolutamente in grado di fare» l’ad, ha detto Giorgetti in conferenza stampa a palazzo Chigi. Una notizia, festeggiano i dirigenti di rito meloniano di viale Mazzini, la parola definitiva del principale azionista della Rai sulla futura incoronazione dell’ideologo di Colle Oppio.

È la prima volta che Giorgetti si espone così sul destino del dg destinato, da ormai più di un anno, alla poltrona di amministratore delegato ma più volte rimasto tra l’incudine e il martello di polemiche quotidiane sulla gestione della tv pubblica. Una conferma del fatto che – almeno per il momento, i conti veri si faranno a settembre – il patto tra Lega e FdI regge.

Il destino di Agnes

Ma è soprattutto la seconda frase del ministro a dare adito a interpretazioni differenti. «Per quanto riguarda il presidente non dipende solo da me, dipende dal fatto che la commissione di Vigilanza deve confermare con una maggioranza qualificata la scelta del presidente, quindi la scelta ha anche altri tipi di valutazione oltre alla managerialità». Tradotto: la presidenza è la vera partita politica delle nomine Rai. Sarà su quel dossier che si applicheranno pontieri e mediatori, mentre le valutazioni del ministero sul dossier del servizio pubblico sembrano indicare un’altra direzione.

C’è chi ci legge un riferimento alla situazione difficile della presidente in pectore, Simona Agnes, sponsorizzata da Forza Italia che, però, continua a non avere i voti necessari in Vigilanza. I due che mancano, quelli che potrebbe fornire Italia viva, sembrano più difficili da ottenere dopo che martedì Maria Elena Boschi ha firmato insieme agli altri capigruppo di opposizione l’appello a riaprire la trattativa sulla riforma della Rai prima di nominare i nuovi vertici.

L’aula di palazzo San Macuto è diventata, in pochi giorni, il luogo a cui guardare per capire cosa sta veramente accadendo a Vial Mazzini. E in parlamento. Pd e M5s sono orientati a uscire dalla commissione. Lunedì, durante l’incontro preliminare tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i due sembravano concordi nel mettere in campo tutti gli sforzi per cercare i voti necessari a eleggere la presidente. FdI non avrebbe alcuna intenzione di valutare un nome di garanzia e di aprire, quindi, una trattativa con il Pd.

Ma la Lega, a giudicare dalle parole di Giorgetti, sembra pensarla diversamente. Quello del ministro sembra essere un ramoscello d’ulivo teso alle opposizioni, soprattutto ai democratici, magari da unire alla promessa di avviare la discussione della riforma della Rai immediatamente dopo la nomina del nuovo cda.

Il fatto è che la sua frase potrebbe essere letta anche come un messaggio a FdI. Se infatti il o la presidente non ha necessariamente bisogno di «managerialità», l’ad ne sì. E non è un segreto che Giorgetti, in passato, abbia pensato che fosse meglio valutare altri profili rispetto a Rossi. Uno su tutti Roberto Sergio, che ha riorientato le sue ambizioni sull’incarico del direttore generale e nei giorni scorsi ha condiviso sui suoi profili social la notizia del suo avanzamento in una classifica di manager rilanciata da Prima comunicazione.

L’autopromozione non è passata inosservata, anche se alla Lega il democristiano fa gola per un altro motivo. «Ottimo in versione anti-Rossi», osserva infatti chi maneggia il dossier da tempo. Restano in pista anche Marco Cunsolo e Maurizio Fattaccio, il primo con le spalle coperte dal consigliere uscente Igor De Biasio, il secondo gradito al plenipotenziario leghista della Rai, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessandro Morelli.

La privatizzazione

Per decidere resta ancora un mese, ma il sottosegretario ora dovrà fare i conti anche con le dichiarazioni di Giorgetti sulla possibilità di privatizzare la Rai. «Se la Rai fa anche cose che non sono solo di servizio pubblico si può valutare anche una parziale privatizzazione, tutto sta a cosa si intende per servizio pubblico» ha detto il ministro.

Insomma, l’ultima parola sul destino di viale Mazzini si scrive al ministero dell’Economia. Un avviso ai naviganti, anche quelli leghisti, neanche troppo nascosto tra le righe: la privatizzazione del servizio pubblico è un tema che torna regolarmente nelle conversazioni interne tra governance e maggioranza. Sia come spauracchio agitato nei confronti di un carrozzone che continua a creare problemi a Meloni più che allargare il suo elettorato, sia nella declinazione leghista del taglio del canone.

Una bandiera che soprattutto Morelli e i parlamentari più vicini a lui tornano ad agitare in prossimità di ogni scadenza elettorale, ma che in prospettiva (nonostante la promessa di compensare con l’aumento del tetto pubblicitario) sarebbe il colpo di grazia per i conti asfittici della Rai. Chi conosce bene Giorgetti esclude che si tratti di un messaggio diretto al responsabile Editoria che nelle ultime settimane ha affiancato Salvini nelle trattative, ma la partita su viale Mazzini, nonostante la tregua conclusa dalla maggioranza, è lontana dall chiusura.

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