Il ministro è tra i primi a rischio in caso di rimpasto. Alla premier Meloni non sono piaciute le sconfitte italiane sulle direttive sulle case green e le auto a zero emissioni. Ma l’ex favorito di Berlusconi è ai margini su tutti i principali dossier, dall’ex Ilva alle politiche energetiche.
La transizione ecologica resta un obiettivo sullo sfondo, da praticare a parole. Ma non nelle azioni. Prova ne è il fatto che il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, si è battuto per rinviare le misure ecologiste come lo stop ai veicoli inquinanti stabilito dalla regione Piemonte, peraltro presieduta da Alberto Cirio, suo compagno di partito in Forza Italia.
Poco male: il titolare del Mase ha dovuto assecondare i desiderata di altri leader, su tutti Matteo Salvini, che al dicastero ha piazzato, in qualità di viceministra, Vannia Gava. Una sentinella leghista che traduce i pensieri del segretario, che aveva promesso di fermare il provvedimento contro le auto a diesel euro 5.
Ex Ilva, ministro assente
Pichetto Fratin è finito ai margini su un altro dossier centrale per chi è chiamato a curare le politiche ambientali: l’ex Ilva di Taranto. È storia nota che sullo stabilimento siderurgico pugliese sia in atto un derby tra ministri, quello del Sud, Raffaele Fitto, e il titolare del ministero delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che spinge per la nazionalizzazione dell’azienda.
Questa ipotesi trova però il niet di Fitto, che nella sua regione non gradisce interferenze. Pichetto Fratin ha solo attirato le ire del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci: «La stiamo ancora aspettando per la convocazione del tavolo sul futuro dello stabilimento siderurgico», ha ricordato il primo cittadino, incalzando ancora: «Ci avete dato delle belle cartelle colorate sugli impegni contro il riscaldamento climatico. Se non passiamo dalle parole ai fatti non siamo credibili».
Mancanza di energia
E che dire della sicurezza energetica? Per Pichetto Fratin è solo una dicitura inserita nella nuova denominazione del dicastero. La delega affidatagli era pesante, abbracciando appunto le politiche ambientali e lo sforzo sull’energia. Le partite importanti, però, si giocano su altri tavoli. Il vagheggiato piano Mattei è in attesa di prendere forma, ma è un progetto che viene affinato a palazzo Chigi, con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che accentra tutto, facendo leva sui fedelissimi.
Stessa musica per le politiche di approvvigionamento energetico che transitano alla presidenza del Consiglio e in seconda battuta al ministero delle Imprese e del made in Italy, affidato ad Adolfo Urso. L’ultima dimostrazione in ordine temporale è il decreto Energia, approvato a inizio settimana dal governo. Pichetto Fratin non ha sostanzialmente toccato palla, nonostante il provvedimento avrebbe dovuto vederlo protagonista.
L’unico punto del decreto che riguarda attivamente il capitolo energetico è stato segnato dal bonus carburanti destinato ai ceti meno abbienti. Una misura, per quanto deludente, rivendicata da Urso che verrà attuata con uno strumento – la carta Dedicata a te –che porta l’impronta mediatica del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Pichetto Fratin ha promesso un impegno per le imprese, che d’altra parte attendono risposte concrete.
Ambiente in ombra
Il malcontento è tangibile pure sul decreto aree idonee, lo strumento che indica dove è possibile collocare gli impianti per le energie rinnovabili. Alla lettura del provvedimento, Italia Solare –associazione che raccoglie importanti realtà imprenditoriali del mondo fotovoltaico – ha manifestato tutta la propria delusione.
Il testo è «una battuta d’arresto allo sviluppo delle rinnovabili, in totale controtendenza rispetto a quanto dovrebbe fare il nostro Paese per abbattere i prezzi energetici e per raggiungere il target di riduzione delle emissioni al 2030 e di azzeramento al 2050», ha osservato Paolo Rocco Viscontini, presidente di Italia Solare. E un ulteriore colpo per il ministro è arrivato dal consiglio di Stato che ha bocciato la riorganizzazione degli uffici del Mase decisa sull’onda lunga dello spoil system del governo.
Pichetto Fratin è così descritto come «un ministro ombra», come sussurrato con malignità da fonti di maggioranza. Una presenza-assenza che lo inserisce di default nelle ipotesi di rimpasto, come è stato raccontato a Domani. Meloni ha appuntato il suo profilo nella lista dei ministri meno convincenti, trovando sintonia con i leghisti sul punto.
Con la morte di Silvio Berlusconi, Pichetto Fratin ha pure perso il suo nume tutelare. Il fondatore di Forza Italia ha sempre avuto grande stima nei suoi confronti e lo ha voluto come viceministro allo Sviluppo economico nel governo Draghi. Già in precedenza lo aveva voluto al comando del dipartimento bilancio del partito e capogruppo in commissione Bilancio al Senato. Naturale che abbia proposto il suo nome nella lista dei ministri azzurri consegnata a Meloni durante le trattative per la formazione del governo.
Manca Berlusconi
Insomma, la perdita di Berlusconi è un problema serio per Pichetto Fratin, per cui depongono a sfavore pure delle ruggini, legate a incomprensioni passate. Alle regionali in Piemonte nel 2014 si candidò alla presidenza senza accettare la sfida delle primarie lanciata da Fratelli d’Italia. Il partito di Meloni puntò su Guido Crosetto spaccando il centrodestra. A distanza di un decennio, le cose sono certamente cambiate. «Ma la storia ha un suo peso», raccontano fonti che conoscono bene le dinamiche piemontesi. Così Pichetto Fratin balla da solo.
L’attuale segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, non ha la forza politica per difenderlo. Punta a resistere fino alle Europee, ma la conta dei voti sarà cruciale per capire quanto potrà essere difeso. Del resto la nomina del ministro non è nata sotto una buona stella. Pichetto Fratin fu protagonista del misunderstanding nella lista dei ministri, risultava a capo del dipartimento della Pubblica amministrazione, che invece era stato dato al collega di partito, Paolo Zangrillo.
Una storia iniziata male, suo malgrado.
I pochi momenti di visibilità sono legati a fatti extrapolitici. Di lui si ricordano le lacrime, sincere, di fronte alle rivelazioni di una ragazza, al Giffoni film festival, che spiegò come fosse afflitta dall’ecoansia. Da nonno, il ministro si mostrò sul palco emotivamente coinvolto, attirandosi delle ironie ma anche una buona dose di di empatia. Da lì ha cercato un balzo in avanti, aprendosi al confronto con gli attivisti di Ultima generazione.
Un’iniziativa a favore di telecamere che è stata - come prevedibile - improduttiva. Prima ha cercato il dialogo e poi però ha stoppato il divieto ai veicoli inquinanti in Piemonte, andando in scia alla battaglia di Salvini. Il leader della Lega ha attaccato e il ministro dell’Ambiente ha ceduto. Senza colpo ferire.
Una delusione per gli ecologisti, che ha confermato il cortocircuito di Pichetto Fratin: delude sia l’associazionismo ambientalista, irritato dalla debolezza delle posizioni sulla transizione, che i colleghi di governo, delusi da un approccio – a loro modo di vedere – troppo soft. In sede europea, tra i tanti addebiti che circolano, Meloni avrebbe preferito un ministro più da combattimento. Sul conto del numero uno del Mase pesa la mancata reattività contro la direttiva sulle case green, che è stato un dito nell’occhio alla destra, perché impone la necessità di ristrutturazione degli immobili.
Così come non è stata gradita a palazzo Chigi, la scarsa opposizione alla direttiva sulle automobili, che punta a mettere al bando in poco più di dieci anni la produzione di veicoli inquinanti. Anche su questo tema si è notato di più il movimentismo di Salvini che l’azione del ministro, che ora ha scelto la vecchia-nuova rotta cara alla destra per placare i malumori: diventare l’alfiere del ritorno al nucleare. Almeno per lasciare una traccia.
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