Quello di Giorgia Meloni, pronunciato ieri alla Camera in vista del Consiglio europeo, è «un posizionamento internazionale equivoco: atlantista e europeista di giorno, e di notte perno delle forze nazionaliste e dei governi ostili all’Europa che vogliono ridurre il bilancio europeo, il debito comune e l’ambizione del progetto Ue». Parola di Pina Picierno, vicepresidente Pd del parlamento europeo.

Ma la politica estera resta un problema anche delle opposizioni. Che ieri si sono spappolate.

Sì, è il cuore del programma di una forza che vuole governare, il tema del nostro tempo, le democrazie liberali sfidate dalle autocrazie. Una contesa che ha per obiettivo l’Europa. Il perimetro di una coalizione deve essere l’europeismo: senza Europa sovrana non tuteleremo nemmeno i diritti civili e sociali.

Anche la destra è divisa.

Non c’è dubbio. Lo dicevo, il governo italiano è al centro di una trama regressiva. L’internazionale dei sovranisti è una contraddizione in termini. Il leader della destra rumena George Simion ha spiegato che la «loro alleata Meloni» gli ha dato garanzie sul fatto che aiuterà «a fermare il colpo di stato in Romania». Meloni ci spieghi: difende la Corte costituzionale rumena, e lo stato di diritto, oppure le influenze russe?

Avs e M5s hanno detto no alla Commissione Ue. Il Pd non si può alleare con loro?

Le coalizioni non si tengono insieme con l’Ave Maria e con la preghiera all’unità. Siamo tutti unitari, ma la ricerca dell’unità deve essere accompagnata da un lavoro politico che definisca le linee rosse, e cioè un programma di governo, una visione di paese, di Europa e di mondo. Un lavoro politico che va svolto.

Il Pd non lo fa?

Non dipende solo dal Pd. Da mesi sottolineo l’urgenza di un confronto. Trovo insultante per esempio quando sull’enorme tema della difesa il M5s parla di «corsa al riarmo». Da premier Conte si impegnò per il 2 per cento del Pil per la difesa.

La fornitura delle armi all’Ucraina è una linea rossa?

Per me e per i socialisti europei sì. Ci sono posizioni diverse anche nel Pd, ma antifascismo non è anche combattere la violenza totalitaria di un regime che invade un paese sovrano?

M5s oggi dice no all’aumento delle spese militari. Il Pd dice sì?

Il racconto fatto intorno alla spesa per la difesa è sbagliato: significa investire sulla sicurezza del paese, sull’intelligence e sulla lotta alla guerra ibrida: politiche di deterrenza al servizio della pace. Dobbiamo proteggerci dalle minacce esterne, che sono concrete. Quello che succede in Romania e in Georgia non passa per i carri armati ma non è meno condizionante per lo stato di diritto di quei paesi. E anche qui da noi la rete della disinformazione russa è diffusa, è lunare fingere di non vederla.

Serve un tavolo dell’alleanza?

In passato siamo riusciti ad arrivare a sintesi anche da distanze notevoli. Serve subito un confronto per capire se oggi ce n’è la volontà. Condivido il «testardamente unitari» di Schlein, ma deve tradursi in un confronto onesto per capire se c’è un terreno comune.

Se non ci fosse?

Sarebbe bene saperlo, e farci i conti. Conte ad Atreju ha sottolineato il suo legame con Trump, ha ripetuto di essere progressista e insieme non di sinistra, ci ha lanciato qualche insulto. Per il M5s è arrivato il momento di smettere di giocare con il Pd. E il Pd non può fingersi morto per non vedere le ambiguità. Dobbiamo pretendere chiarezza. Anche per i nostri militanti.

Sbaglia Schlein a «non perdere un solo minuto nelle polemica con le opposizioni»?

Chiedere spiegazioni su posizioni politiche non è fare polemica, è fare politica.

Ma con la linea Schlein il Pd cresce.

Il Pd cresce, e crescerà ancora, perché è chiaro, è lo strumento più utile per cambiare il paese.

Poi c’è il “centro”, che è stato evocato intorno alla figura di Ruffini. Sarebbe un alleato utile?

Di Ruffini penso tutto il bene possibile. Qualsiasi cosa, la farà bene. Ma il Pd non deve appaltare all’esterno il dialogo con i moderati. È la vecchia idea ieri di D’Alema, oggi di Bettini. Ma è sbagliata. Il Pd ha una vocazione maggioritaria, è nato per tenere insieme culture diverse. Oggi abbiamo una leader che “copre” benissimo a sinistra, ma non è sufficiente: è necessario dare voce anche a chi ha un pensiero diverso e complementare: tutti insieme siamo il Pd.

Quindi all’alleanza non serve una formazione di centro?

Dipende da noi. A un Pd tutto spostato a sinistra servirebbe un partito di centro. Ma quel Pd non serve. Serve un Pd ampio, accogliente anche per i moderati e i riformisti: che li tenga dentro sé, altrimenti non sarebbe più il Pd che riforma il paese, ma che cambia solo sé stesso.

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