Un documento redatto dai progettisti dell’infrastruttura si concentra sul sistema dei cavi principali e di ancoraggio: «Serve fare delle prove di fatica, finora effettuate solo in Cina e Giappone», spiega l’ingegnere Risitano. Ma l’Italia ha la capacità di effettuarle? È quello che si chiedono i comitati No ponte
Non ci sono solo carte illeggibili all’interno del progetto che riguarda la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Dopo la “denuncia” del ministero dell’Ambiente, spuntano anche atti redatti in lingua inglese dai progettisti dell’infrastruttura. Sono quelli più delicati, quelli che hanno a oggetto il sistema dei cavi principali e di ancoraggio della grande infrastruttura.
Settantasei pagine in cui gli stessi progettisti suggeriscono più in particolare di realizzare determinati test prima di passare al progetto esecutivo. «Si consiglia di eseguire una prova di fatica sui cavi e sugli elementi di appoggio», è quanto i tecnici mettono nero su bianco e che gli addetti ai lavori dovranno pertanto tradurre prima in italiano e poi nella pratica.
«Si tratta di test effettuati solo in Cina e in Giappone», si può leggere in un altro passaggio. Da qui il dubbio di molti attivisti dei comitati No ponte nati tra Villa San Giovanni e Messina. «L’Italia ha la capacità di poter effettuare queste prove?». Ma soprattutto «sarà possibile dar vita a un ponte a campata unica?».
«Campata unica irrealizzabile»
Gli esponenti di “Invece del ponte”, ad esempio, rilanciano le parole dell’ingegnere Antonino Risitano che, proprio sulla campata unica, non ha dubbi: «Ben a ragione il progettista si rappresenta l’esigenza di testare la resistenza a fatica dei quattro cavi principali, che sono dei prototipi e che costituiscono i componenti strutturali più importanti di un ponte sospeso a campata unica. Se non si hanno certezze sui cavi principali nessuna attività può essere avviata».
Per l’esperto, inoltre, «per conseguire tali certezze lo stesso progettista ammette che occorrono macchine di colossali dimensioni, mai costruite e per la cui fabbricazione devono ancora essere immaginati gli stabilimenti di produzione e successive sperimentazioni di difficilissima esecuzione, le quali in ogni caso dovrebbero protrarsi ininterrottamente per almeno 25/75 anni e con esiti allo stato non pronosticabili».
Nella documentazione, in ultimo, i tecnici non mancano di sottolineare l’approssimazione che caratterizzò il vecchio progetto sul ponte, quello di oltre dieci anni fa. Le parole (tradotte) contenute all’interno della relazione sono inequivocabili: «Precedentemente le prove erano state soltanto pianificate». Come a dire che oggi i test, completi e concreti, sono necessari per la tenuta di tutta l’opera.
La replica della società
A queste contestazioni la società Ponte sullo Stretto risponde, parlando di «affermazioni prive di fondamento tecnico scientifico». «I cavi principali del ponte – replica la società – non sono un prototipo. In particolare, i quattro cavi principali, realizzati mediante l’impiego di Ppws – funi prefabbricate da 127 fili, zincati e ad alta resistenza - sono di dimensioni analoghe a quanto già realizzato per il ponte Giapponese Akashi Kayko, in esercizio da 26 anni. Inoltre, si rappresenta che recenti realizzazioni (ShiZiYang Bridge, 2020) vedono l’impiego di cavi di diametro anche superiore a quelli del Ponte sullo Stretto (1.30 m vs 1.26 m)».
«Per quanto riguarda invece il tema dei tempi e modalità delle prove di fretting, ovvero fatica da “sfregamento” cavi – selle, queste hanno una durata di mesi – non certo di anni o tantomeno di decenni – e si avvalgono di martinetti idraulici e strutture con dimensione massima di 10–15 metri, difficilmente definibili come “macchine di colossale dimensione”».
Il progetto rallenta
Così facendo, dunque, sembra ancora una volta sfumare l’idea del ponte dal cronoprogramma fulmineo. E sul punto nei giorni scorsi lo stesso Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina spa, aveva fatto marcia indietro, ridefinendo le dichiarazioni vertenti per l’appunto sulle tempistiche. «Il progetto esecutivo del Ponte sullo Stretto di Messina arriverà entro fine anno – aveva detto l’ad in un’intervista su Rai Radio 1 -. Serviranno oltre trenta giorni per rispondere alle osservazioni del Mase».
Una brusca frenata, quindi, e di certo un duro colpo per il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini che ha sempre parlato di «apertura dei cantieri entro l’estate 2024».
Se poi a tutti i rallentamenti in corso si aggiunge il fatto che i componenti della commissione Via-Vas (i tecnici la settimana scorsa hanno effettuato un sopralluogo nelle città coinvolte dalla costruzione del ponte) che dovrà pronunciarsi sull’impatto ambientale “scadono” il 24 maggio e dovranno essere rinnovati, le tempistiche potranno di nuovo dilatarsi.
Intanto il 18 maggio in programma c’è la grande manifestazione annunciata dai no-ponte. «Raggiungeremo Villa San Giovanni tutti insieme da Messina – dicono gli attivisti - Ancora una volta cercheremo di tutelare il nostro futuro».
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