Nessun rilancio sotto il cielo di Bruxelles per Matteo Salvini, che negli ultimi giorni stava gustando l’operazione-isolamento in Ue dell’alleata-avversaria, Giorgia Meloni, mentre lui stava assumendo una rinnovata centralità, seppure sotto la bandiera altrui, quella dei patrioti orbaniani e lepenisti.

Invece il leader della Lega è diventato attore-coprotagonista dell’ennesima figuraccia in eurovisione. Il Rassemblement national ha posto il proprio veto su Roberto Vannacci come vicepresidente del gruppo dei Patrioti.

Il suo nome era stato infilato dai leghisti nel pacchetto di votazioni, ma è rimasto indigesto ai francesi. «Troppo vicino alla Russia», è la tesi che chiude qualsiasi discorso. Più di qualcuno nella Lega allarga le braccia sconsolato, ripetendo: «Lo avevamo detto».

I malumori, però, come spesso accade dalle parti di via Bellerio, rimbalzano contro la mancanza di una strategia post Salvini. E all’orizzonte non si intravede una vera via d’uscita: il segretario resta saldo nella sua posizione, superando indenne qualsiasi errore.

La difesa di Salvini

Salvini è quindi finito nella scomoda posizione di essere sotto attacco nel suo partito, a causa della sua infatuazione politica, quella nei confronti del generale, voluto e difeso come l’eroe della patria. Un vicepremier vittima di sé stesso, di una strategia di corto respiro buona per guadagnare uno spicchio di visibilità politica.

L’offensiva del Rn è un colpo al cuore del progetto del ministro delle Infrastrutture, che pure rivendica la scommessa sul generale come un successo personale. «Buon lavoro al generale Roberto Vannacci, eletto vicepresidente del gruppo dei Patrioti per l’Europa, per rappresentare la Lega e gli italiani. Avanti tutta», aveva commentato Salvini sui social pubblicando una foto con il militare, ora eurodeputato.

Zero pentimenti sulla decisione, che sarebbe stata motivata anche da una ragione numerica: Vannacci è stato il candidato più votato del partito e per forza di cose premiato con un incarico istituzionale. Così, dopo le polemiche sollevate dagli alleati francesi, fonti della Lega hanno ribadito «massima stima per Vannacci», senza però commentare la presa di posizione del partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella.

Al netto delle difese di ufficio, i nodi restano da sciogliere. Salvini ha un problema su due lati: in Europa deve decidere se impuntarsi sul nome di Vannacci e arrivare allo scontro con i nuovi compagni di viaggio “patrioti” o trovare un’exit strategy che possa evitare frizioni con il generale. Ma il problema è ancora più pesante all’interno dei confini nazionali, o meglio dentro il perimetro leghista.

Insofferenza pragmatica

L’insofferenza è esplosa nell’ala più pragmatica del partito, incarnata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e dei presidenti di regione, Massimiliano Fedriga e Luca Zaia. Non si danno pace rispetto all’oltranzismo salviniano che trascina la Lega ai margini. In Italia e in Europa.

«Anche l’estrema destra è imbarazzata da Vannacci, considerato troppo estremo», è il ragionamento che circola nel partito, viene scritto nelle chat, ovviamente nell’area non strettamente salviniana.

Un discorso che viene condiviso nella sostanza con le opposizioni, che da parte loro non hanno remore a metterlo nero su bianco nelle dichiarazioni.

«Le tesi omofobe, razziste e negazioniste dell’europarlamentare della Lega sono indigeribili per l’estrema destra francese. Vannacci è impresentabile persino per l’estremista Marine Le Pen», ha incalzato Danilo Della Valle, eurodeputato del Movimento 5 stelle.

Così mentre la Lega salviniana si agita nella propaganda, Giorgetti ha cercato di ricondurre alla realtà i colleghi di partito e l’intero governo con la richiesta di slittamento della scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

«Sarebbe stato razionale prevedere una scadenza temporale più normale», ha detto ripetendo un concetto già espresso nelle scorse settimane.

Non senza irritazione nei colleghi, soprattutto dalle parti di palazzo Chigi, con il ministro del Pnnr, Raffaele Fitto, che continua a fare professione di ottimismo sul rispetto dei tempi.

L’unica affinità del ministro dell’Economia con il partito è la vena critica verso Bruxelles, seppure per ragioni diverse rispetto a un Vannacci: «L’Europa non può vivere con decisioni prese solo nell’emergenza» che hanno creato «una politica keynesiana all’amatriciana». Quella di Giorgetti è una linea lontanissima dalle promesse del leader leghista.

Nel partito più di uno sta cercando di far smussare la passione di Salvini verso Vannacci proprio per non legarsi a doppio filo agli umori e agli scivoloni del nuovo eurodeputato.

«Non possiamo morire vannacciani», è il suggerimento avanzato, sempre con tono sommesso, per evitare reazioni infuriate del segretario. Ma il vicepremier non vuole saperne: i voti del generale hanno garantito un buon risultato alle europee, salvandolo dal naufragio, e vuole proseguire su questa strada, nonostante rischi di essere un vicolo cieco. Un po’ per riconoscenza, un po’ per mancanza di alternative.

Fatto sta che «la Salvini premier è il passato, siamo già alla Vannacci premier», ripete da tempo Paolo Grimoldi, ex segretario regionale in Lombardia e in odore di espulsione per le posizioni critiche assunte verso i vertici. Ma, appunto, il segretario della Lega dinanzi ai rilievi reagisce allontanando i dissidenti.

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