Aver silenziato Roccella in un dibattito pubblico contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione antifascista, ma poi subentrano i distinguo. La democrazia non è quel sistema in cui è garantito che possa parlare chi è alla maggioranza; tutt’altro: è quel sistema in cui deve essere garantito di parlare a chi è alla minoranza
«Voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione», non c’è dubbio. E il presidente Mattarella ha fatto bene a ricordarlo, ça va sans dire. Soprattutto in questa stagione in cui i tentativi di mettere a tacere non mancano, a volte con violenza da manifestanti, altre volte con violenza da corridoi e veline.
La libertà di manifestare pubblicamente il proprio pensiero – «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», come recita la Costituzione all’art. 21 – è la pietra angolare di ogni vera democrazia. E alla ministra Eugenia Roccella va tutta la solidarietà possibile, per esserle stato impedito di esprimere la sua, di opinione. Ma forse – lo diciamo sottovoce – mantenere una reazione più composta, senza gridare al fascismo, sarebbe stato meglio da un punto di vista di opportunità democratica.
Perché se è vero che togliere la parola a qualcuno, nel dibattito pubblico, contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione antifascista, è anche vero che bisognerebbe distinguere – almeno quanto alla gradualità della gravità del fatto – tra il caso in cui, in un pubblico consesso, la parola sia impedita a un’esponente del governo o a chi esponente del governo non è. E il motivo è molto semplice, e consiste nel banale dato di fatto che chi è al governo ha accesso privilegiato e garantito a mezzi di diffusione del proprio pensiero che normalmente sono impediti, o comunque risultano più difficili, a chi al governo non ci sta.
Nessuno, insomma, dubita che la ministra Roccella avesse argomenti interessanti e validi, ed è giusto che il dibattito pubblico su temi così sensibili sia effettivamente articolato e plurale; anzi, in fondo è un peccato che si sia persa una (ulteriore) occasione per uno scambio lucido e paritario, per una opposizione costruttiva.
Ma è difficile credere che la ministra avrebbe avuto difficoltà, la sera stessa del fattaccio, a fare una telefonatina e a farsi ospitare in prima serata sul primo canale del servizio radiotelevisivo pubblico. O anche semplicemente a convocare una conferenza stampa e a poter esporre, in modo del tutto indisturbato, il proprio pensiero. Certo, non l’ha fatto: e questo è sicuramente un gesto di eleganza istituzionale di cui le va dato atto; altri – in questi tempi bui – avrebbero fatto diversamente. Ma la possibilità comunque resta, ed è evidentemente una possibilità che non le sarebbe stata offerta se non fosse stata al governo.
Il punto è che la democrazia non è quel sistema in cui va garantito alla maggioranza di poter parlare; tutt’altro: è quel sistema in cui deve essere garantito alla minoranza. Che una minoranza alzi la voce più dell’altra parte così da impedirle di parlare in una data occasione – posto che quest’altra parte avrà a disposizione altri e ben più potenti canali preclusi invece ai contestatori – è forse, sì, un episodio grave, ma del tutto fisiologico nella dialettica democratica. Patologico sarebbe se non accadesse; o se accadesse il contrario, come purtroppo pure spesso accade, magari con modalità più politiche (leggi: più da privilegiati).
Spiace dirlo, ma di nuovo la parte politica al governo mostra una certa difficoltà a reggere la fisiologia della dialettica democratica, forse per inesperienza, o forse per quel collegamento genetico con una tradizione politica che ha sempre espressamente rigettato i valori democratici. Ma si può ragionevolmente confidare – o almeno sperare – che impareranno.
In fondo, la comprensione della democrazia è questione di maturità. Da piccoli, quando si giocava con gli amici e si doveva decidere qualcosa, ci si contava: «È la democrazia: comandiamo noi, che siamo di più». Ma poi crescendo si capisce che l’autentica democrazia non è quella in cui comanda chi è in di più – questa si chiama tirannia della maggioranza, che sempre tirannia è – ma quella in cui son tutelati quelli che sono di meno.
In altri termini, non è per permettere a chi sta al potere di parlare liberamente che la democrazia è stata inventata. C’erano già altri e ben collaudati schemi, per questo. È invece per garantire che possa farsi sentire forte la voce di chi non è al potere che esiste la democrazia, questo «fragile vascello» che «porta in sé la speranza dell’umanità»: «la sola via per cui passano le energie progressive della storia umana», come scriveva Maritain (J. Maritain, Man and the State, 1951).
È un gioco scomodo, insomma. Sia per chi sta nella minoranza, naturalmente, sia per chi arriva al governo, soprattutto dopo lunghi anni di opposizione, e che al governo scopre come non sia sempre lecito impiegare gli strumenti di lotta politica che poteva usare in precedenza, ora a disposizione dell’altra parte.
Perché a chi occupa la posizione istituzionalmente più forte e garantita sono imposte regole di fair play maggiore.
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