Al termine della sua arringa difensiva, la senatrice Giulia Bongiorno – al tribunale di Palermo nei panni della legale del ministro Matteo Salvini nel processo Open Arms – ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. «I confini, lungi dall’essere strumenti di discriminazione, sono lo scudo della pace e se non ci fossero regnerebbe il caos», è stata la sua conclusione davanti ai giudici, che hanno aggiornato l’aula al 20 dicembre per le controrepliche e la sentenza.

Contro il leader della Lega, invece, la procura ha chiesto la condanna a sei anni per sequestro di persona e rifiuto d’atti d'ufficio, per aver trattenuto per giorni 147 migranti a bordo della nave ong nell’agosto del 2019.

Sotto il cielo nuvoloso di Palermo, tuttavia, non è andata in scena solo l’udienza. A qualche chilometro dall’aula bunker la Lega ha radunato in piazza Castelnuovo tutto lo stato maggiore del partito: parlamentari, europarlamentari e ministri, tutti con indosso una maglietta nera con stampata la faccia di Salvini e la scritta “Colpevole di aver difeso l’Italia”. Lo stesso slogan usato dal leader in un video dai toni epici rilanciato all’indomani della richiesta di condanna della procura. Pochi i militanti leghisti, molti i giornalisti presenti.

Dai ranghi del partito tutti si sono rifiutati di definirla una «chiamata alle armi contro i magistrati», ma la scelta comunicativa è stata quella di enfatizzare l’epica di un Salvini difensore dei confini, perseguitato in un processo politico. «Qui aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo. A testa alta, senza paura, per l’Italia e gli italiani», ha scritto l’imputato su X prima di entrare in aula.

Dalla piazza, invece, ogni parlamentare ha declinato a modo suo l’argomento. «Accuse motivate da ragioni politiche», ha detto Rossano Sasso. «Matteo, tutte le persone che amano la nostra nazione ti dicono: avanti così», ha detto il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. «Difendere i confini non è reato», ha aggiunto il sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni.

Da Budapest è arrivato anche il messaggio di Viktor Orbán, grande alleato della Lega in Europa: «Siamo con te, amico mio! Matteo Salvini merita una medaglia per aver difeso l’Europa». Tra i ministri presenti anche quello per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, e Giancarlo Giorgetti, che si è fatto vedere a Palermo, ma senza la maglietta brandizzata. Il ministro dell’Economia, alle prese con la manovra, è sceso dall’auto blu e poi si è rifugiato a lavorare in un bar, ma ha voluto essere a Palermo a sostegno del leader: «All’epoca dei fatti ero al governo con Matteo Salvini. È perché sono della Lega. Ho detto tutto». La manifestazione si è conclusa al grido di «Matteo, Matteo» e un applauso, poi tutti a casa.

Le assenze

Anche se quella che doveva essere la grande giornata della Lega contro le toghe è stata parzialmente oscurata dal no del tribunale di Roma alla convalida dei trattenimenti dei migranti nei cpr in Albania, il sit in è servito comunque come prova di fedeltà al leader.

La presenza in piazza all’insegna del chi c’è e chi non c’è ha mostrato subito le assenze dei presidenti del nord: il veneto Luca Zaia e il friulano Massimiliano Fedriga sono rimasti in silenzio nelle rispettive regioni. Non è arrivato nemmeno l’attuale ministro dell’Interno in quota Lega, Matteo Piantedosi. Assenti giustificati solo il viceministro Edoardo Rixi e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, insieme al presidente della Camera Lorenzo Fontana per ragioni istituzionali.

Salvini, del resto, è deciso a fare del processo un punto caratterizzante della linea comunicativa sua e della Lega, in un ritrovato antagonismo con la magistratura. Bongiorno ha assicurato «totale rispetto per i magistrati del processo» ma alla sostituta procuratrice Giorgia Righi è stata assegnata una scorta e l’Anm si è detta preoccupata perché «il ministro Salvini ha tutto il diritto di difendersi e tutti gli strumenti per farlo nel processo, ma questo è un modo di raccontare un processo all’esterno che genera sfiducia nell’istituzione giudiziaria. Questo fa male alle intere istituzioni repubblicane».

Sulla stessa linea si sono mosse anche le contestazioni dell’opposizione, con la segretaria del Pd, Elly Schlein, secondo cui «è vergognoso che tre ministri scendano in piazza contro la magistratura, peraltro contro magistrati messi sotto scorta per l’odio che questa destra fomenta» e il leader del M5s, Giuseppe Conte, ha parlato di «scene che abbiamo già visto quando c’era Berlusconi».

Del resto, la lettura politica della sentenza prima ancora che venga pronunciata la offre lo stesso Salvini alla fine dell’udienza, auspicando che i giudici prendano in considerazione «la realtà e non la fantasia» e che invita polemicamente i giudici «che fanno politica di sinistra pro migranti e ong e che cercano di smontare le leggi dello Stato» a candidarsi alle elezioni.

Se il fronte politico rimarrà caldo ancora per mesi e fino alla sentenza, quello giudiziario si chiude con la linea difensiva portata avanti da Bongiorno, secondo cui «gli atti di questo processo documentano che i migranti sono stati aiutati, assistiti, tutelati. L’Italia si mise in ginocchio. Ma Open arms è stata irremovibile e non ha voluto fare sbarcare i migranti».

Secondo la difesa, infatti, la Open arms «aveva il dovere di andare in Spagna» e «qualcuno disse di avere un disagio, uno stress, persino la stipsi. E fu fatto sbarcare con un accompagnatore. Nessuno era sotto sequestro». Diversa la lettura, anche politica, delle parti civili tra cui la ong Open arms: «La scelta di non concedere lo sbarco è stata rivendicata e assunta dal ministro dell’Interno. Ora attendiamo con serenità la pronuncia del tribunale», ha detto il legale Arturo Salerno.

La decisione sulla singola vicenda giudiziaria, ora, spetta ai giudici palermitani, con l’incognita su quanto e se il clima di tensione politica influirà sulla serenità delle scelte. Il conflitto tra politica e magistratura, invece, è più acceso che mai.

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