Gli obiettivi del piano finanziato con 2 miliardi di fondi europei sono ancora lontani e la candidata alla guida della regione ha consolidato l’impianto privatistico, per la medicina territoriale molte promesse e poco altro
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Alla vigilia della sua discesa in campo nella corsa per la presidenza della regione Lombardia, Letizia Moratti ha ricordato quei primi giorni del 2021, quando la giunta silurava Giulio Gallera dall’assessorato al Welfare.
«Al mio arrivo ho trovato una situazione di disastro sanitario», ha spiegato Moratti, che il 27 novembre ha presentato la sua candidatura con la lista Letizia Moratti presidente, sostenuta dal terzo polo e da altre liste civiche. L’accusa era alla stessa consiliatura di centrodestra di cui era parte fino a inizio novembre, quando si è dimessa per il «venir meno di un rapporto di fiducia» con il presidente leghista Attilio Fontana. Dimissioni che arrivano a meno di un anno dal via libera alla riforma sanitaria che porta il nome di Moratti, approvata il 30 novembre 2021, dopo due settimane di forti contestazioni dell’opposizione. La riforma è entrata in vigore il 1° gennaio 2022.
Un anno dopo
La rapidità di esecuzione è stata più volte rivendicata con orgoglio dall’ex sindaco di Milano: la Lombardia è stata la prima regione italiana a recepire le indicazioni del Pnrr. Circa 2 miliardi di risorse pubbliche, quasi tutte provenienti dall’Europa, per rafforzare la medicina territoriale con 216 case di comunità e 71 ospedali di comunità in tutta la regione. Dopo 27 anni di centrodestra, le sorti della politica lombarda passano anche, e forse soprattutto, per la questione sanitaria. Cosa è cambiato con la riforma?
Lo stato dell’arte
Quando deve esprimersi sul tema, Letizia Moratti si limita a dire che il lavoro sulle fragilità del sistema medico e ospedaliero è appena iniziato. Il presidente della commissione Sanità, Emanuele Monti (Lega), assicura che «il quadro complessivo è in linea, e su qualche aspetto persino in anticipo, con quanto programmato».
Il documento di monitoraggio sull’attuazione della riforma, aggiornato al 16 novembre 2022 (divulgato dalla testata Milano Today) rivela invece che una serie di obiettivi intermedi che, secondo il cronoprogramma, dovevano essere raggiunti entro l’anno, sono lontani. Il 40 per cento degli ospedali e delle case di comunità doveva vedere la luce entro la fine dell’anno in corso, ma a un mese dalla scadenza sono stati inaugurati circa 30 case e 10 ospedali della comunità: meno della metà di quanto annunciato. «Non mi risulta», risponde Monti, «dall’ultima interlocuzione avuta con l’assessorato, posso dire che siamo nei tempi del cronoprogramma e che gli obiettivi fissati per fine anno saranno raggiunti». Altra questione riguarda poi l’introduzione dei distretti e delle centrali operative territoriali, indispensabili per la programmazione e il coordinamento tra le strutture di comunità e gli altri enti sanitari.
Il termine per l’attivazione dei distretti veniva indicato a 90 giorni dall’entrata in vigore della legge: oggi le procedure per le nomine devono ancora essere completate. E senza i distretti, anche le centrali operative restano bloccate.
Una «riforma di destra»
Il budget annuale della regione, che ammonta a circa 24 miliardi, viene impiegato per l’80 per cento in spesa socio-sanitaria. Per Michele Usuelli, consigliere regionale in quota +Europa, «la legge Fontana-Moratti è la più importante di questi cinque anni di consiliatura». Una norma «profondamente di destra», sostiene, «che, non solo non migliora le criticità apportate al sistema dalle riforme di Formigoni e Maroni, ma le peggiora».
Alle regionali +Europa appoggerà la candidatura dell’europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino, sostenuta da una coalizione di centrosinistra. In Lombardia la penetrazione della sanità privata nel servizio pubblico è iniziata con il presidente Roberto Formigoni alla fine degli anni Novanta. Il concetto di sussidiarietà, sosteneva lo stesso Formigoni – a capo della giunta dal 1995 al 2013 – ha rivoluzionato l’impianto universalistico di diversi settori. Tra cui la sanità.
Secondo Vittorio Agnoletto, di Medicina democratica, è questo il terreno su cui nasce la riforma Moratti che, dice, «chiude il cerchio, introducendo esplicitamente il concetto di equivalenza: oggi, nel servizio sanitario, pubblico e privato sono equiparati». Per Agnoletto, medico del lavoro e docente di “Globalizzazione e politiche della salute” all’Università statale di Milano, si tratta di un elemento in forte contraddizione con la norma istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la legge quadro 833 del 1978. Questa prevede, infatti, che l’intervento pubblico debba essere prevalente nel Ssn e, dunque, anche nei sistemi regionali, che ne sono una diramazione.
«Il problema non è l’iniziativa economica privata, che è garantita dalla Costituzione», precisa Agnoletto, «ma che il sistema di accreditamento è diventato un bazar, chi ha del personale e quattro mura può fare richiesta alla regione, e questa dà il via libera». La tendenza a operare nei settori più remunerativi – come alta chirurgia e patologie croniche – ha svuotato quelli meno appetibili, inclusi pronto soccorso e dipartimenti di emergenza. Cioè quei comparti che durante la pandemia hanno mostrato maggiore vulnerabilità.
I territori
La maggioranza al potere rivendica ancora la narrazione della sanità lombarda come sistema d’eccellenza, «che attrae 200mila pazienti all’anno», ribadisce il leghista Monti, e da cui passano i trial sperimentali e le tecnologie più avanzate d’Europa.
Replica Agnoletto: «Ma si parla di medicina avanzata. Quella quotidiana, che riguarda dieci milioni di cittadini, è stata lasciata andare».
La riforma Moratti nasce proprio con l’obiettivo di colmare il vuoto nella medicina di prossimità. Tuttavia, aldilà del rispetto delle scadenze, case e ospedali di comunità incontrano la perplessità dei diretti interessati.
«Ben vengano queste strutture» spiega Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, «ma, di certo, non possiamo dire che hanno un ruolo, almeno nel breve termine, nell’ottimizzare il servizio a beneficio dei cittadini».
Oggi qualche segnale di miglioramento si intravede, racconta Marinoni, ma il sistema che ha fallito non è stato messo in discussione. Su Letizia Moratti, «il suo operato al Welfare è senza voto, a mio avviso. Un po’ come si fa con le pagelle dei calciatori che non entrano in campo. Servono medici e infermieri, più che infrastrutture», conclude Marinoni, «Qui vivremo in una situazione di emergenza almeno per altri cinque anni».
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