«Chiedi a Conti». La risposta alla maggior parte delle domande che si pongono negli ultimi giorni che precedono il festival di Sanremo – quella specie di paradiso offshore della tv pubblica, dove le regole spaziotemporali e soprattutto politiche non valgono – ai piani alti della Rai hanno la stessa risposta. Che si tratti delle possibili criticità che possono portare con sé le performance di alcuni artisti più controversi o delle ricadute sanremesi sul futuro aziendale, tutto sembra dipendere (davvero o per comodità) dalla performance del conduttore toscano.

La verità è che questo Sanremo sarà cruciale per viale Mazzini (ormai solo più categoria dello spirito, visto lo sgombero ormai quasi completato, con i dipendenti che si portano via le piante imbustate e le stampe sottobraccio). È il primo senza Amadeus e Fiorello, è il secondo che esce dal controllo diretto della “ditta” Coletta, ex direttore prime time e responsabile dell’edizione in cui Fedez strappò una foto del sottosegretario Galeazzo Bignami.

E soprattutto, è il primo festival da amministratore delegato per Giampaolo Rossi. I primi cinque mesi dalla sua nomina sono stati una bella fatica. «Eppure, sono otto anni che si prepara» svelena qualcuno, facendo riferimento al primo ingresso dell’attuale ad nel Cda Rai, nel 2018 (e considerando anche gli anni in cui Rossi, per una manovra sbagliata di Meloni, in realtà, dal Cda rimase fuori). Gli rimproverano una certa stasi per quanto riguarda nomine e direzione da imprimere dalla plancia di comando sovranista. L’ad controbatte che la politica gli complica la vita – ed è vero, Giorgia Meloni non considera una priorità l’azienda che ha voluto conquistare a tutti i costi, ma che nei primi due anni e mezzo di governo le ha creato diversi imbarazzi – e che le nomine che dipendono dagli accordi in maggioranza non si sbloccano.

Il guaio Vigilanza

Quel che è certo è che la pratica Simona Agnes, la cui conferma alla presidenza ha ormai i contorni dell’attesa di Godot, procede ormai separata dalle altre nomine. A combattere la battaglia della figlia di Biagio è rimasta ormai solo Forza Italia, meno appassionati Fratelli d’Italia e Lega che hanno avuto gli incarichi ai vertici che aspettavano. Le opposizioni, invece, negli ultimi giorni sono tornate battagliere dopo aver scovato un cavillo del regolamento che consente la convocazione della commissione Vigilanza, che è bloccata da mesi dalla maggioranza alla ricerca dei voti necessari per Agnes, anche solo con i voti della minoranza. Certo, non si può votare, ma i commissari sperano di poter chiedere almeno qualche audizione. Ma se la presidente designata piange (in modo figurato ovviamente), anche i direttori - aspiranti, a interim o da rinnovare - non ridono. Nel corso del mese le direzioni scoperte o in proroga saliranno a quota sette: oltre a Tg3, Tgr, Raisport e Rainews resteranno acefale anche Rai Italia, Rai sostenibilità e Rai ragazzi.

Per arrivare a quelle nomine è tutto un gioco d’incastri, e di concessioni reciproche. Rossi, per dire, continua a spingere per nominare Stefano Coletta coordinatore dei generi. Finora la Lega si è messa di traverso, manifestando il proprio dissenso con un’astensione di Antonio Marano, consigliere d’area e presidente pro tempore, sul budget 2025. Una presa di posizione voluta dal responsabile editoria Alessandro Morelli e per niente apprezzata da FdI, ma nelle ultime ore sembra che i contatti in maggioranza siano ripresi e soprattutto il rapporto tra Rossi e Marano, appena nominato su indicazione dell’ad presidente di Confindustria Radio-tv sia di nuovo migliore.

La ragione di un clima più morbido viene attribuita da chi conosce bene i dossier a un chiarimento a livello politico: la Lega, per altro, continua a essere in difficoltà nei sondaggi e ostentare un’armonia in maggioranza appare cruciale di questi tempi, appesantiti dallo scandalo provocato dalla pubblicazione delle chat di FdI su Salvini. Mantenere le due testate e una direzione di genere che il Carroccio attualmente controlla o addirittura allargarsi sembra un progetto ambizioso anche a qualcuno interno al partito. Meglio dunque provare con le buone.

Direzioni e dipendenti

Tanti guardano con speranza a fine mese, quando le riunioni del Cda sono addirittura due, una il 20 e una il 27: c’è chi punta sulla prima, quando sull’onda del successo di Sanremo (un progetto che tanti descrivono come «telecomandato», visto che anche nel peggiore dei casi non scende sotto un certo livello di ascolti e rimpingua ogni anno le casse di Rai pubblicità) una maggiore disponibilità di tutti potrebbe facilitare un compromesso. Altri giurano che la data buona sia il 27, con una settimana in più per finalizzare gli ultimi accordi. Ma il tempo stringe: rinnovare ancora gli interim sarebbe una prova di debolezza e poi i direttori stessi hanno una serie di decisioni da prendere, a partire dal rinnovo delle vicedirezioni, scadute a fine gennaio nei primi due tg e in proroga a Rainews addirittura da novembre. In Emilia-Romagna (dove la sinistra ha rivinto da poco le elezioni) il caporedattore non è lontano dalla pensione, e anche in quel caso c’è da aprire un job posting. 

E poi le questioni da risolvere dal settimo piano non sono poche. Dopo Sanremo partiranno altri nuovi programmi del palinsesto invernale, non ultimo la seconda serata che ha strappato Antonino Monteleone dopo il flop del suo L’altra Italia. C’è da preparare la nuova stagione: le certezze dei direttori di genere nella maggior parte dei casi si fermano all’estate, poi c’è da capire come Rossi voglia mettere a terra il racconto sovranista che ha in mente. 

E soprattutto, come abbia intenzione di farlo con mezza azienda sul piede di guerra. Più contro i suoi intermediari che contro lui nello specifico, raccontano, ma il malessere serpeggia, soprattutto nelle redazioni dei programmi e nei tg. L’ultimo caso è quello di Paolo Petrecca, che in un clima già bollente ha annunciato ai cronisti di Rainews che in futuro sarà lui stesso a scrivere i titoli delle edizioni dei giornali, sfiduciando almeno in parte i vicedirettori scelti da lui stesso. Ma nelle ultime settimane a fare scalpore è stata anche la circolare che mette al timone dei programmi – oltre al conduttore e al direttore di genere – un coordinatore: un’indicazione letta dai giornalisti come un tentativo ulteriore di imbrigliare l’informazione. Per non parlare degli sfoghi di Bruno Vespa, che ormai più che un conduttore appare nei suoi Cinque minuti come un avvocato difensore della premier, contenuti nelle puntate più recenti soltanto da un Giuseppe Conte in stato di grazia. Poi ci sarebbe lo stato desolato in cui versa l’edizione del Tg2 della sera, i cui ascolti negli ultimi tempi difficilmente superano il 5 per cento. 

Insomma, le beghe non mancano. Il festival è pronto a macinare ascolti dalla Liguria, agevolato anche dal “prestito” Mediaset Gerry Scotti, secondo aiuto dei Berlusconi alla tv pubblica dopo il muro di Forza Italia contro il taglio del canone chiesto a più riprese dalla Lega. Per politica e governance aziendale il festival è una boccata d’aria, nella speranza che basti per mettere un punto alle polemiche e mettere a terra i progetti dell’ideologo di Meloni.  

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