Una storiaccia in cui alla fine tutti si sono ritrovati dalla parte giusta, con qualcun altro a disposizione da indicare come colpevole. Uno scaricabarile che ha portato a creare un caso intorno alla presunta non partecipazione di Roberto Saviano alla Buchmesse di Francoforte: lo scrittore ci sarà, invitato dal suo editore tedesco già quando si era saputo che l’Italia sarebbe stata l’ospite d’onore della fiera. Non sarà invece nella lista degli autori portati dall’Associazione italiana editori. Una decisione difficilmente comprensibile, visto che Saviano è diventato negli ultimi decenni uno degli autori italiani più noto e più tradotto all’estero a cui ciascuno dei personaggi coinvolti dà una motivazione differente.

Quel che è certo è che si tratta di una scelta maturata in un clima in cui Saviano non è una voce gradita al governo, un dettaglio che insieme alla mobilitazione di una serie di scrittori che hanno ritirato la loro partecipazione dopo la notizia del mancato invito allo scrittore napoletano ha fatto debordare la vicenda dal campo editoriale a quello politico. E allora, mentre la Rai – dopo averlo cancellato senza una spiegazione ufficiale la scorsa estate – ha deciso di reintrodurre Insider nel suo palinsesto invernale, in campo editoriale nessuno ha pensato che fosse il caso di prendere in mano la situazione. Questione di mancanza d’iniziativa, più che di sforzo attivo per impedire una presenza, insomma. 

Accuse specchiate

E ciascuno ha la propria scusa: dall’Aie, per esempio, sostengono che a valle di un metodo selettivo applicato con rigore non si possano fare eccezioni. Per nessuno, neanche un autore noto e molto tradotto. E che la decisione di chi proporre alla fiera di Francoforte è tutta in mano agli editori: una volta trascorso il termine per presentare i propri beniamini, a fine luglio 2023, la finestra è chiusa. Basta.

Anche se in realtà di eccezioni ce ne sono state: i tre autori convocati personalmente dal commissario Mauro Mazza per l’inaugurazione del padiglione disegnato da Stefano Boeri fuori dalle liste delle case editrici, Stefano Zecchi, Susanna Tamaro e Carlo Rovelli. A dimostrazione paradossale di quanto non si tratti quindi (soltanto) di una questione di libri in uscita da vendere agli editori internazionali, ma anche di rappresentatività dell’editoria nazionale. E del fatto che anche ai tre selezionati dal commissario governativo non si può applicare il criterio che ha citato lo stesso Mazza per rispondere a chi in conferenza stampa gli chiedeva la ragione dell’assenza di Saviano: «Abbiamo voluto dare voce a chi finora non l’ha avuta, ad altri». 

Ma nonostante la risposta sia stata di Mazza, la lista degli autori da presentare non la compila il governo, viene stilata dall’Aie su proposta delle case editrici: nella lista di Solferino, per cui lo scrittore ha pubblicato la sua ultima fatica Noi due ci apparteniamo, Saviano non c’era. La ragione, fanno capire, è burocratica: a luglio 2023 l’autore è in un limbo. Ha lasciato Bompiani, ma non ha ancora firmato con Solferino, l’accordo per il libro che comparirà solo ad aprile 2024 c’è, ma è solo verbale. Sarà firmato soltanto a settembre. 

Insomma, non essendo ancora un autore organico non si può inserirlo nella lista degli scrittori da mandare a Francoforte: una circostanza che però non cambia nemmeno quando la notizia del nuovo libro si diffonde. L’Aie non si muove per reinserirlo in una lista considerata ormai chiusa e sottoposta al nuovo commissario governativo. Per fortuna di tutti, senza un nome che avrebbe potuto produrre grattacapi durante il vaglio da parte di Mazza. Una felice coincidenza che ha evitato ulteriori questioni diplomatiche, dunque. 

E sarebbe probabilmente passato tutto in sordina – visto che la fiera di Francoforte è una manifestazione B2B, cioè business to business, da addetti ai lavori, insomma – se a una domanda posta da un giornalista tedesco in conferenza stampa non si fosse precipitato a risponde Mauro Mazza. Il commissario ha utilizzato parole che avranno trovato apprezzamento nella maggioranza, ma che in prospettiva lo hanno reso il capro espiatorio di una vicenda che altrimenti non sarebbe ricaduta interamente sul suo conto.

L’ex direttore del Tg2 però, non lasciando la parola all’Aie, ha dato nuovo materiale a chi sostiene che la classe dirigente della destra, soprattutto in ambito culturale, non sia all’altezza. La dimostrazione sta non solo nei nomi d’area che compaiono nella lista degli autori in delegazione – Marcello Veneziani, Pierangelo Buttafuoco e Giordano Bruno Guerri vengono citati a rotazione per praticamente ogni nuovo incarico culturale che deve assegnare il ministero – ma anche nella gestione di un incarico che è piovuto su Mazza grazie all’impegno del governo precedente.

Il fatto che l’Italia sia ospite d’onore a Francoforte è infatti un’eredità della gestione Draghi-Franceschini, la cui gestione era in mano all’ex presidente dell’Aie Ricardo Franco Levi, che era anche commissario straordinario: a settembre 2023 le due figure sono state scisse e il “controllo” governativo è stato affidato a Mazza.

Una scelta che però – come spesso accade a Giorgia Meloni e ai suoi – ha privilegiato la fiducia sulla competenza. Perlomeno per quanto riguarda la velocità a prendersi responsabilità (o meriti) di un’esclusione che non sono riconducibili a lui.

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