Fin qui Elly Schlein, parlando della futura alleanza, alla parola «tavolo» risponde con insofferenza: «Niente tavolo. Noi ci parliamo in parlamento e nel paese, è così che vogliamo costruire una prospettiva comune, continueremo su questa strada».

Perché, è il ragionamento di fondo «io non ho mai creduto che le coalizioni si costruiscono chiusi in una stanza stringendoci per mano, credo che si costruiscano parlando alla luce del sole sulle tante battaglie che già condividiamo», e qui parte l’elenco: «no all’autonomia differenziata, difesa della Costituzione» altrimenti detta «no al premierato, la sanità pubblica, la scuola pubblica, i diritti di tutti e tutte, l’emergenza climatica».

Niente tavolo di coalizione, dunque. Mercoledì, nel penultimo giorno di lavoro della Camera, mentre in aula andava in scena l’unità delle opposizioni contro «l’inutile e dannoso» decreto Carceri, in Transatlantico Schlein si è platealmente intrattenuta con i segretari delle forze dell’opposizione – con alcuni dei quali in realtà si era confrontata nei giorni precedenti – per lasciare, alla vigilia della pausa, l’immagine di una leader dello schieramento che tesseva la sua tela.

La vittoria delle europee le ha consegnato questo ruolo, nessuno lo mette più in dubbio. Tocca a lei. Sparite le fantasie di «federatori» e «papi stranieri», è lei la leader del futuro centrosinistra. Lo ha detto chiaro Matteo Renzi, tornando rumorosamente all’ovile della sinistra, preceduto dalle foto di abbracci con la segretaria Pd durante una partita di calcio di beneficienza: «Il candidato premier deve essere il leader o la leader di partito che prende più voti nella coalizione». Deve essere Schlein, dunque.

Schlein è entrata nella parte: ha lasciato fare a Renzi le sue molteplici interviste per dichiarare urbi et orbi il suo ritrovato amore per il Pd, e agli alleati rossoverdi e a Giuseppe Conte il ruolo di quelli che mettono dubbi. Inoltre ha lasciato a Carlo Calenda il tempo di maturare le sue riflessioni. Tutto bene, prima dell’estate. Saluti, ma niente appuntamenti. Niente «tavoli».

Il nodo Genova

Che però ora serve. A Schlein l’hanno detto, in maniere diverse e sempre cordialissime, alcuni di quelli con cui ha parlato. Serve un tavolo perché, è il ragionamento generale, l’abbraccio in un campo di calcio è una bella immagine, ma quello nel campo largo è tutta un’altra storia. Verso Renzi «nessun veto», le ha detto Riccardo Magi. «Nessun veto» le ha ripetuto Nicola Fratoianni. Ma, anche al di là dei sondaggi secondo cui il leader Iv è indigesto all’elettorato di sinistra, il tema è la «credibilità» della coalizione. Tanto più che Schlein dice spesso che è arrivata alla guida del Pd per correggere alcuni sbagli: come la dottrina Minniti sui migranti, la lottizzazione in Rai. E il Jobs act di Renzi. Dunque qualche questione politica andrà affrontata.

Prendiamo le regionali liguri. La manifestazione del 18 luglio a Genova per chiedere le dimissioni del presidente Toti è andata bene – ma lì non c’erano i centristi – l’ex ministro Andrea Orlando sta scaldando i muscoli per partire da candidato presidente, su lui c’è il sì di tutta la coalizione. Ma la Liguria è Genova-centrica, e a Genova Italia viva è in giunta con il sindaco Bucci. E come si fa a metterla insieme agli arcinemici del «sistema Toti-Bucci»?

In questi giorni in città si segnala l’attivismo di Raffaella Paita, coordinatrice del partito renziano. Ma l’ala sinistra della coalizione chiede che il partito dell’ex premier lasci il sindaco al suo destino. Altrimenti le sue restano solo parole. Come del resto è già successo in Basilicata. Il Consiglio regionale ha mancato l’obiettivo di schierarsi per il referendum sull’autonomia per tre voti: due voti calendiani e uno renziano. Che stanno in coalizione con la destra.

Per fare un tavolo

L’altra sera su La7 la rossoverde Elisabetta Piccolotti ha chiarito che al momento «non c’è alcuna discussione, non c’è un tavolo di coalizione, Renzi ha fatto dichiarazioni unilaterali, ha detto: “Voglio entrare nel centrosinistra”, ma non basta dire che vuoi venire a sinistra e tutto è risolto. Se Renzi vuol battersi per il salario minimo può farlo si deve battere anche per l’abolizione del Jobs act, che è un altro dei referendum su cui stiamo lavorando comunemente».

Schlein ascolta, registra le questioni nel suo taccuino mentale, sapendo che sta a lei trovare la quadra. Come sulla politica estera, che separa ancora senza rimedio il Pd dal M5s. Deve inventarsi qualcosa. Sulla carta insomma la coalizione c’è, ora sta a lei metterla «a terra».

Gli alleati hanno visto l’abbraccio della segretaria con Renzi alla partita dell’Aquila, ma non sono stati persuasi, anche perché è chiaro a tutti che per Renzi il ritorno del centrosinistra è l’ultima spiaggia della sopravvivenza politica. Fratoianni lo dice così: «La politica non è una partita di calcio, e tanto meno di beneficienza». Conte all’Espresso lo dice più esplicito: «Se si tratta di iniziative benefiche, ci sono e sarò sempre disponibile. Ma la politica è un’altra cosa, va fatta seriamente», e gli elettori di Pd e M5s «non apprezzerebbero la presenza di Renzi e Calenda» in coalizione, anzi «Renzi gli elettori li fa scappare».

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