Le cose impreviste, spiega Elly Schlein, sono state molte: la vittoria alle primarie, la principale, ma anche l’ultimo, inaspettato, risultato delle europee. Ma soprattutto il riuscire «a farci riconoscere per strada e nei posto di lavoro» per le nuove battaglie del Pd, insomma il «nuovo Pd», il suo.

Parterre da grandi occasioni ieri sera a piazza Vittorio a Roma. In prima fila il sindaco Roberto Gualtieri, il segretario regionale Daniele Leodori, e tutto lo stato maggiore del Campidoglio e della regione. Dietro ci sono soprattutto quelli dell’estate militante, come Susanna del circolo dell’Esquilino: «Abbiamo 200 iscritti ma non abbiamo una sede». Schlein presentava il suo libro L’imprevista(Feltrinelli), un giro per l’Italia democratica insieme a Susanna Turco, l’inviata dell’Espresso che l’ha rincorsa ovunque.

Ha raccontato la sua formazione politica, gli anni dell’università, gli scontri con i leaderini. Ha usato un «noi» generazionale e ha spiegato di essere «l’imprevista» nel Pd, ma non un’intrusa. Ha detto che il Pd ha sbagliato strada – ha preso quella delle larghe intese, per tagliarla grossa – e il tentativo è «di riportarlo a casa, dove la gente si aspetta di trovarlo», un tentativo che «può produrre qualche altro scossone. Ci siamo impegnati in politica, abbiamo fatto il nostro percorso, e alla fine è capitato anche che una di noi abbia vinto le primarie e sia diventata la segretaria».

Evocare «scossoni» è una promessa agli elettori. Anche un avviso ai dirigenti? Intanto, a giudicare dalle dichiarazioni, i vertici del partito hanno letto il libro e l’hanno pesato come fosse una nuova mozione congressuale. Invece rischia di essere di più: con le presentazioni, la segretaria cercherà di raggiungere un “lettorato” che va oltre l’elettorato del Pd.

Pericolo Fitto

Nel libro Schlein risponde anche chi l’accusa di indecisionismo. «Può essere che in alcuni casi mi prenda tempi lunghi per le decisioni», ammette, «ma li uso per l’ascolto, e devo dire che questo mi ha aiutato a fare le scelte giuste». Forse in queste ore si consuma uno di quei tempi lunghi che precedono una decisione necessaria. Anzi due. Sul tavolo del Nazareno ci sono due nomi su cui urge una scelta: Raffaele Fitto e Matteo Renzi.

Perché le vacanze sono iniziate all’indomani della sua sostanziale incoronazione a leader della futura alleanza, grazie alla vittoria delle europee. Alla ripresa però le cose si sono complicate: sul fronte interno il ritorno “a sinistra” di Renzi ha provocato un terremoto negli alleati. E dall’altra parte, la premier Meloni, che sembrava indebolita dal no a Ursula von der Leyen, ora invece rischia di piazzarsi solidamente al fianco (destro) della presidente della Commissione.

La partita è delicata innanzitutto per gli equilibri dell’Unione. Ma anche Schlein deve stare attenta a non uscirne male. È difficile che il Pd bocci il commissario italiano, benché meloniano. A meno che Fitto non esponga ai parlamentari le posizioni sovraniste del suo partito, FdI, e del suo governo. «Ascolteremo quelli che dirà, per noi la condizione è che esprima un forte impianto europeista», spiega il capodelegazione dem Nicola Zingaretti. Intanto von der Leyen ha fatto slittare alla prossima settimana la presentazione dei nomi dei suoi commissari.

La bomba Renzi

Sul fronte dell’alleanza il protagonismo di Renzi ha scatenato la contraerea di Giuseppe Conte, a sua volta impegnato in una dura battaglia congressuale contro Grillo. Carlo Calenda non è meno seccato: in ogni occasione sottolinea la sua estraneità al centrosinistra. Così ha fatto anche l’altra sera alla festa dell’Unità di Milano: la coalizione «sono fatti loro, decidono loro e vedano loro. Li rispetto. È una coalizione che fa le sue scelte, non riguarda noi. Tu puoi convergere quando hai un’agenda di governo», ma il cosiddetto campo largo «non ce l’ha». Calenda propone una convergenza sul tema della sanità pubblica durante l’esame della finanziaria. L’anno scorso aveva fatto la stessa proposta, ma non se n’è fatto nulla. 

Andrà meglio, forse, nella battaglia per lo Ius scholae, che Azione presenterà sotto forma di emendamento al ddl Sicurezza in discussione alla Camera. I rossoverdi, sostenitori dello Ius soli, ne preparano uno simile: unire le forze consentirebbe di lanciare la sfida a Forza Italia, che ha fatto dello Ius Scholae una bandiera balneare.

Ma unire è difficile, altri segretari del Pd non ce l’hanno fatta. Schlein scommette di riuscire. Per il momento nelle tre regioni che vanno al voto da qui a fine anno. In Umbria e in Emilia-Romagna le convergenze marciano, ma in Liguria il candidato presidente Andrea Orlando è ancora alle prese con un complicato tetris: incassato il sì di Azione, ora deve riuscire a rendere compatibili gli incompatibili, e cioè Iv e M5s.

Nelle prossime ore il Pd si aspetta un gesto di buona volontà dai renziani: l’uscita dalla giunta di destra di Genova. Ma a Conte basterà? Non vuole i renziani, neanche camuffati in una lista centrista.

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