La segretaria del Pd ha messo in chiaro che il partito non sosterrà una nuova candidatura del governatore De Luca. Intanto, però, la maggioranza del consiglio regionale, inclusi i dem, ha votato a favore del potente ex sindaco di Salerno
«Possono votare tutte le leggi che vogliono, ma il Pd è contrario al terzo mandato e quindi De Luca non lo sosterremo». A fine giornata, alla festa di Domani a Roma, Elly Schlein chiude ogni speranza alla possibile candidatura del governatore campano. «Ci avrebbe fatto piacere ricandidare Bonaccini in Emilia-Romagna o Decaro a Bari, ma le regole valgono per tutti: De Luca si abitui all’idea e faccia come loro, ci aiuti a costruire una nuova classe dirigente».
A ora di pranzo era arrivato il voto del consiglio regionale campano a favore della legge che consente al presidente Vincenzo De Luca di correre per un terzo mandato: 33 sì, tutta la sua maggioranza e tutto il gruppo dem, 16 no e un astenuto, anzi un’astenuta, Bruna Fiola del Pd che, va detto subito, non ha detto no per seguire la linea ufficiale del Nazareno, ma per una vecchia storia di mancate nomine familiari per la quale detesta il presidente.
Prima del voto, in aula la destra prova a opporre una questione di costituzionalità al testo. Inutile, intanto perché De Luca esibisce una maggioranza a prova di bomba. E poi perché finisce a battutacce: la Lega ha già un “governatore” al suo terzo mandato, Luca Zaia in Veneto. A cui il segretario Matteo Salvini ha già spiegato che non sarà ricandidato. Ma quello, a differenza di De Luca, ha risposto “obbedisco”.
Questo non impedisce a quelli di Forza Italia di essere certi che il governo impugnerà la legge campana. Lo annunciano i capigruppo di Camera e Senato Barelli e Gasparri. Scende in campo dunque nientemeno che la squadra azzurra nazionale. Si capisce perché: la possibilità di un De Luca ter non mette a rischio solo la vittoria del centrosinistra in Regione. Secondo i sondaggi che circolano è più catastrofica per l’ambizione di rimonta del centrodestra.
Nelle cui file si scalda il generale Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, che già si sentiva l’elezione in tasca dopo che il suo rivale interno Gennaro Sangiuliano si è rovinosamente autoaffondato. La destra è furibonda: «Esiste un Pd a Roma ed uno a Napoli», tuona Antonio Iannone, commissario regionale di Fdi in Campania. Bella scoperta: del resto anche il Pd campano è commissariato, il commissario è Antonio Misiani.
Nel Pd campano tutti si schierano con De Luca, tranne appunto l’astenuta per altri motivi. Ma il capogruppo dem Mario Casillo arzigogola la ragione, perché non sembri del tutto una dichiarazione di guerra a Elly Schlein: ma non è una cosa seria.
«Abbiamo avuto modo di confrontarci con il presidente per chiarire e distinguere il problema giuridico da quello politico», pignoleggia, «Dal punto di vista giuridico non c’è il problema della sua candidabilità per il terzo mandato, il voto che esprime il Pd è un voto tecnico», poi «c’è un problema di natura politica» ammette, «il voto di oggi (ieri, ndr), dall’opinione pubblica, viene mischiato con la candidatura di De Luca alle prossime elezioni regionali» e secondo Casillo invece serve «un percorso politico per arrivare congiuntamente a una deliberazione su chi sarà il prossimo candidato», «abbiamo ascoltato la posizione della nostra segretaria, il presidente De Luca è un nostro iscritto», «abbiamo senso di appartenenza e comunità e le decisioni le prendiamo tutti insieme».
Come se per De Luca si ponesse la possibilità di un passo indietro. O si ponesse per Schlein quella di cambiare idea. Impossibile, anche se nel Pd si fanno avanti pavide (per ora) voci che chiedono alla segretaria di non procedere allo strappo.
Ma la replica di Igor Taruffi, responsabile dell’organizzazione dem, al Pd campano è severa: il voto «non sposta la posizione del Pd nazionale sul limite dei due mandati per le cariche monocratiche. Al di là del voto di oggi, quindi Vincenzo De Luca non sarà il candidato presidente sostenuto dal Pd alle prossime elezioni regionali».
È vero che manca almeno un anno al voto e forse anche di più: il mandato del presidente scade nell’ottobre 2025, ma al Viminale già prevedono un election day regionale nella primavera del 2026. Comunque il dado è già tratto, con largo anticipo. Da una parte De Luca è pronto a lasciare il Pd, varare una sua lista e poi spaccare i suoi. Non sarebbe la prima volta: dal 1990 ha inaugurato la serie delle sue personali liste «Progressisti per Salerno» con le quali ha battuto il centrosinistra della sua città quando non lo appoggiava. Dall’altra parte c’è il Pd del nuovo corso Schlein: convinto che l’uscente sia un «cacicco» di quelli da cui la segretaria ha promesso pulizia.
Ora c’è solo da sorvegliare i contraccolpi interni: Piero De Luca, il figlio, è il portavoce della minoranza riformista. Quanto al rischio di perdere la regione, per la segreteria sarebbe uno smacco grave, ma i suoi sono convinti che De Luca i voti li rubi alla destra più che al centrosinistra. Al bordo del quale si scalda Roberto Fico, il più alleanzista del M5s, il partito che è pronto andare in coalizione con il Pd, pur di guidare la coalizione. Intanto scendono in campo i pompieri.
Come il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, che teme le ripercussioni della guerra civile dei dem campani sulla sua maggioranza: per questo si augura che la scelta del futuro candidato parta «dall’unità della coalizione che, spero, sia la più larga possibile e che coincida anche con la coalizione che sostiene la mia amministrazione al Comune».
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