Un leghista incontra un collega dem in Transatlantico e lo sfotte: «Adesso il Papetee vi va bene?». Fratelli d’Italia, dai profili social, sbeffeggia: «Sinistra, che brutta fine». La “rappata” di Elly Schlein, special guest di un concerto degli Articolo 31 a Milano, sul palco del Forum di Assago, ha fatto esplodere i nervi alla destra.

Ma la verità è che anche per molti dem il video del duetto, rilanciato dai siti, è un colpo. Un duro colpo, in qualche caso. Rimosso Renzi con il chiodo nello studio di Maria De Filippi, stavolta c’è una segretaria in giubbotto di pelle fucsia (il colore della lotta al femminicidio, però) che spara rime e se la cava.

La mattina di giovedì 10 ottobre alla Camera i parlamentari presenti, rari nantes, attraversavano a razzo il Transatlantico per non fermarsi a commentare. O, in subordine, niente virgolette. Tutti uniti, come mai, sulla sorpresa. Discordi, come sempre, sul senso della comparsata.

Fra un «c’è la guerra, parliamo di cose serie» e un «chiedo asilo al gruppo Misto», c’è anche qualche favorevole, che pure preferisce non comparire. Ragiona così: «Ma quale leader politico potrebbe fare un rap in un concerto? Chi poteva salire sul carro del Pride e parlare a milioni di giovani? Conte, Fratoianni, Bonelli?».

In effetti neanche gli alleati di sinistra l’hanno presa un granché bene. Facce eloquenti. La potenziale federatrice del centrosinistra non riesce a portare a casa l’alleanza, ma con il pop va forte: e così tira colpi sotto la cintola, si presenta a un pubblico che il Pd si sogna. La stessa voce di prima replica: «E non l’abbiamo eletta per asciugare i Cinque stelle?»

È così, ma non si dice. Giovedì mattina Schlein è rapidamente tornata in assetto politico. A Montecitorio, nel primo pomeriggio, ha riunito i parlamentari per discutere della mozione che il Pd presenterà martedì in entrambe le camere sulla posizione del governo italiano al Consiglio europeo.

Il partito presenterà una mozione descritta come «unitaria», il che la dice lunga sul fatto che avrebbe potuto non esserlo. Stavolta Netanyahu mette d’accordo tutti. Lei ne anticipa il senso ai cronisti: «È inaccettabile l’attacco dell’esercito israeliano alle basi italiane e al quartier generale della missione Unifil in Libano. Esprimiamo la più grande preoccupazione e vicinanza al nostro contingente italiano. L’Italia reagisca con fermezza. Netanyahu si deve fermare».

Nonostante Netanyahu, sarà difficile convergere con le altre opposizioni su un testo. Ci sarà invece una mozione unitaria sull’automotive, fortissimamente voluta da Carlo Calenda.

Ricucire con Conte

Uniti dove si può, dunque, competitivi sul resto, rap compreso: è la morale di stagione del Nazareno. Schlein in tv, a La7, ha buttato acqua sul fuoco delle divisioni dello schieramento: «Ci sono tante battaglie che ci uniscono e sono più dei temi che ci dividono, si vede nelle tante alleanze che si provano a costruire nelle regioni e nei comuni». In realtà in Liguria Iv è fuori, in Emilia-Romagna per non presentare la sua lista sta alzando le richieste, e anche in Umbria la presenza di Iv nella coalizione è in forse.

La segretaria minimizza. Il campo largo è morto, come dice Conte? Sì: «È un’espressione che abbiamo ereditato. A me interessa costruire una coalizione progressista, perché non penso che il campo si misuri in centimetri, ma in quanta giustizia sociale vogliamo produrre insieme su sanità, scuola pubblica, lavoro e diritti, ecco su questo vogliamo lavorare».

Già l’espressione «progressista» è un passetto lessicale in direzione del presidente M5s.

La novità c’è, anche se non si vede. È che Schlein, che pure sta cercando un chiarimento con Conte, negli ultimi giorni ha maturato la convinzione che è meglio, per ora, derubricare il tema della coalizione che verrà. Non è il momento: M5s è impegnato in un quasi-congresso interno, e il presidente deve alzare i toni per respingere l’assalto di Grillo.

Poi c’è aria di inciucio sulla Rai e sulla Corte costituzionale: c’è il rischio che qualcuno della minoranza – leggasi ancora Conte – in futuro si presti al gioco di Meloni. Se dovesse succedere, sarà inutile predicare pacifismo. Infine Renzi: per tenersi in partita, gioca a provocare il leader M5s spingendo su un tasto per lui dolentissimo: la leadership del centrosinistra.

Ai cronisti in Senato ha spiegato che il voto andato a vuoto sul giudice dalla Consulta è merito della segretaria Pd: Schlein «ha vinto la prima battaglia vera. Il risultato è che si sono fermati». Nessun merito collegiale. L’esatto contrario di quello che serve per ritrovare un po’ di concordia. Il momento è «così com’è», per dirla con il rap J-Ax-Schlein: bene lavorare su temi comuni, inutile guardare più avanti. Anzi dannoso.

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