L’Italia è al primo posto tra i paesi europei negli ultimi quindici anni per numero di transicidi: 49 persone trans uccise dal 2008 al 2024, secondo il report annuale dell’organizzazione Transgender Europe (TGEU). Si tratta di un primato che si conferma di anno in anno e che va di pari passo al report annuale di ILGA, organizzazione europea non governativa che si occupa di mappare la situazione delle persone LGBTQIA+, che attesta l’Italia al 35esimo posto (su 41) per diritti, tutele e autodeterminazione. Il punteggio italiano in termini di diritti e tutele garantite è di 25,41% a fronte di una media europea del 50,61%.

TGEU rilascia il report annuale ogni 20 novembre, giornata internazionale per il ricordo delle persone trans uccise, noto come TDOR (Transgender Day of Remembrance). In questo giorno in tutto il mondo le comunità trans organizzano eventi, manifestazioni e presidi perché i nomi delle nostre sorelle e fratelli non vengano dimenticati.

Raccogliere questi dati è difficile e senza dubbio sono a ribasso, in ragione dell’ulteriore violenza transfobica agita spesso da famiglie e media, che riportano le loro morti con i nomi anagrafici (deadname) cancellandone la vita ancora una volta.

Muoriamo spesso. Come scrive Torrey Peters nel suo bellissimo romanzo Detransition, baby: «Se sei una ragazza trans che conosce molte ragazze trans, finisci per andare spesso in chiesa, perché è in chiesa che si tengono i funerali». Nella stragrande maggioranza dei casi di transicidio si tratta di persone transfemminili, spesso sex worker e persone razzializzate. L’odio transmisogino e razzista è una delle prime cause di morte delle persone trans in Italia. A questo si unisce la cancellazione delle persone transmascoline, che spesso non sono identificate, nemmeno in punto di morte, con il loro nome e con le desinenze maschili scelte.

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Il caso Italia

In Italia nel 2024 si è verificato un caso grave di un ragazzo che si è suicidato dopo essere stato riportato nel reparto femminile dell’ospedale dove era stato ricoverato e dove aveva subito diverse violenze fisiche e, in ultimo, uno stupro da parte di una persona del personale medico.

I media hanno raccontato la vicenda riferendosi a lui al femminile e utilizzando il nome anagrafico. Ne tiene traccia l’Osservatorio Nazionale femminicidi, lesbicidi e transicidi di Non Una di Meno, diffuso nella sua versione aggiornata in questi giorni, in occasione del 25 novembre, giornata contro la violenza patriarcale e machista.

Oltre al dolore nel celebrare la loro morte e alla forza di ricordare le loro vite, è importante non tralasciare la rabbia del perché. Perché muoriamo spesso e perché i casi riportati aumentano di anno in anno? «Questa è senza dubbio una conseguenza degli sforzi concertati dei movimenti anti-gender e anti-diritti che strumentalizzano e deumanizzano le persone trans nello spingere agende politiche antidemocratiche.

Abbiamo assistito a un aumento costante dei livelli di incitamento all'odio online e offline e dei crimini d'odio, in particolare da parte di figure politiche, leader religiosi e personaggi pubblici. Questo aumento è reso possibile dalla mancanza di una legislazione forte in merito ai crimini d'odio che protegga l'identità e l'espressione di genere e dalla disinformazione manipolativa».

La dichiarazione è del TGEU allegata al report di quest’anno. L’Italia è colpita in pieno da queste affermazioni, dopo mesi di serrata agenda politica anti-trans – e più ampiamente anti-lgbtqia+ – partita dagli attacchi istituzionali alle persone trans più giovani, estesa a quelle adulte.

Il tutto con il sostegno delle associazioni anti-abortiste e anti-scelta che investono denaro ed energia in campagne violente contro l’università, il sapere e i presidi pubblici sanitari, ripresi e legittimati spesso da figure politiche di spicco dell’attuale maggioranza parlamentare.

A questo si aggiunge una situazione italiana – legislativa, sanitaria e sociale – che ostacola e reprime libertà e autodeterminazione trans, in un clima trans-odiante in scuole, posti di lavoro e spazio pubblico.

In un periodo buio, l’advocacy dal basso di gruppi trans aumenta. Si fa più comunità, ci si ritrova per sostenersi, divertirsi e aiutarsi nelle cose pratiche della vita che per una persona trans sono spesso difficili o impraticabili. Forse gli attacchi anti-trans si stanno inasprendo anche perché mai come ora siamo più visibili. Per questo nel TDOR, bisognerebbe iniziare a risignificare quella R di Remebrance, ricordo, e affiancarla con Resistance, Resistenza.

Resistere vuol dire non dimenticare, combattere, vuol dire coltivare quella voce che contro ogni attacco ogni giorno più opprimente e violento, ci fa sperare che un giorno le cose andranno meglio.

Non si tratta di sedersi in disparte e aspettare che questo succeda da sé, resistenza vuol dire credere che sia possibile fintanto che continuiamo a lottare, ritrovarci, lavorare, studiare, ricercare, aiutarci e festeggiare l’essere insieme.

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