Da Firenze a Perugia, a Campobasso a Bergamo, in molti comuni per la prima volta elette delle prime cittadine. Ora il Pd punta a recuperare le astenute: spingendo su salario, lavoro, sanità pubblica e difesa della legge 194
A guadagnarsi le pagine dei giornali è stata Sara Funaro, sindaca di Firenze, piddina: ha varato una giunta composta per metà da assessore. Non per scelta ideologica, ha spiegato, ma «per competenza».
Oggi toccherà a Vittoria Ferdinandi, sindaca di Perugia, civica: presenterà la sua giunta e, stando ai pronostici, avrà una sostanziosa presenza femminile. All’indomani del ballottaggio, Ferdinandi si era meritata da Elly Schlein «un abbraccio di sorellanza» per aver saputo ribaltare i pronostici e così aver riaperto la sfida alla regione Umbria. Dove, neanche a dirlo, per il voto dell’autunno il centrosinistra ha offerto la candidatura a un’altra signora, Stefania Proietti, sindaca di Assisi. Nei prossimi giorni scioglierà la riserva, sarà un sì. Anche perché l’Umbria è un affare di donne: dal 2005 governano loro, prima Maria Rita Lorenzetti, poi Catiuscia Marini (entrambe del Pd, entrambe azzoppate per guai giudiziari, Marini è stata assolta dall’accusa di illecito ai danni del sistema sanitario regionale), adesso la leghista Donatella Tesei.
Torniamo alle nuove sindache. Fra le loro c’è Maria Luisa Forte, di Campobasso, altra «senza tessera», ma fortissimamente voluta dal Pd. Del Pd sono invece Laura Nargi di Avellino, Elena Carnevali di Bergamo, e Ilaria Bugetti di Prato. Non si contano le consigliere. Ci sono anche elezioni monogenere: come le cinque presidenti dei cinque municipi di Bari. Insomma a sinistra le ultime amministrative hanno laureato una pattuglia di sindache,
Chiusa la polemica
È stata valanga rosa, dunque, nelle città della sinistra, contro le poche rondini che non fanno primavera della destra (fra cui la veterana Adriana Poli Bortone a Lecce e Valeria Cittadin a Rovigo). Una felicità «particolare» per Schlein, perché, spiega, «era uno dei nostri obiettivi».
Il risultato sigilla anche una parentesi di polemiche interne al Pd sulle liste per le europee. Un gruppo di donne dem avevano criticato la segretaria per incoerenza con la sua professione di femminismo: perché voleva candidarsi capolista in tutte le circoscrizioni, e così rischiava «di comprimere la possibilità concreta per le nostre candidate di essere elette».
Alla fine è andata diversamente. Schlein ha corso da capolista solo in due circoscrizioni, e a Bruxelles le elette sono risultate otto su 21, una meno rispetto al 2019, anche se la percentuale è scesa dal 55 per cento al 40. Polemica chiusa, comunque.
Anzi lo scorso 10 luglio la senatrice Valeria Valente, femminista autorevole e rigorosissima, ha pronunciato un solenne riconoscimento alla leader, proprio nel corso di un convegno femminista sulle riforme della destra: «Schlein è la prima segretaria donna del principale partito di opposizione, e per le donne è una speranza. Ma soprattutto è una leader che si è dichiarata coraggiosamente femminista. E, glielo dobbiamo riconoscere, ha esercitato una leadership femminista».
Per esempio, ha spiegato Valente, quando si è rimangiata la scelta di mettere il nome sul simbolo: «Per un uomo sarebbe stata lesa maestà, lei invece è tornata indietro riconoscendo che a chiederlo era la sua comunità. E anche nella campagna elettorale, il modo in cui si è spesa, la sua prossimità, ha fatto la differenza».
Le Signore Astensioniste
Ora però Schlein vuole andare avanti in questa direzione. «La politica è un luogo ancora troppo respingente per le donne», ha risposto a Valente, «Alle europee sei donne su dieci non sono andate a votare. Poniamoci il tema di chi fa fatica e non ha il tempo e modo di partecipare. Non possiamo pensare di scrivere buone politiche pubbliche con un occhio chiuso, senza non tanto lo sguardo sulle donne, ma delle donne».
Insomma, se il Pd alle europee è andato meglio del previsto, il dato dell’astensione è un record negativo: ha votato solo il 49,69 per cento. E secondo l’analisi di Swg ad astenersi sono state soprattutto le donne: più 11 per cento rispetto alla media, insieme alle fasce a reddito più basso e ai giovani. Da ora in avanti Schlein punta a recuperare questi elettori. A partire dalle elettrici.
Per questo ha annunciato «un viaggio attraverso i luoghi del non voto». Il duo Igor Taruffi (responsabile organizzazione) e Davide Baruffi (responsabile degli enti locali) lavorano a una mappatura delle aree in cui l’astensionismo ha toccato picchi negativi. Qui, quest’estate saranno incoraggiate le feste dell’Unità. E nei prossimi mesi la presenza dei dirigenti.
Spiega la “missione” Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria, e naturalmente femminista: «Il dato dell’astensionismo femminile ci racconta una volta di più che per troppi anni la politica è rimasta lontana dalla vita delle persone, dai loro bisogni e dai loro desideri. Non è un caso che al precariato femminile, al peso di un welfare tutto sulle loro spalle, ai diritti che vengono messi in discussione a partire da quello all’autodeterminazione, corrisponda una fuga dal voto».
Il “che fare” è chiaro, esserci, ma anche “con chi”: «Il nostro viaggio nel non voto intreccerà anche il mondo dell’associazionismo femminile: saremo fuori dai consultori che rischiano di chiudere per i mancati investimenti sulla sanità pubblica, e là dove dobbiamo difendere i tagli del governo al Pnrr destinato all’apertura di nuovi asili nido».
Il fronte della 194
Un percorso già iniziato, secondo Roberta Mori, avvocata, consigliera regionale dell’Emilia-Romagna e portavoce della Conferenza delle donne: «Che tante donne abbiamo vinto nei capoluoghi con donne è un grande orgoglio, una prima prova di una stagione di riscatto dell’importanza del collettivo femminile. Innanzitutto dell’importanza di esserci per cambiare la società e per condizionare il cambiamento. È una nuova stagione del Pd, quella di un femminile che diventa femminismo consapevole. Ciascuna, nel ruolo che ricopre, dà una mano alle altre». In questo, è il mantra delle donne Pd, c’è la differenza fra leadership femminile e leadership femminista, con riferimento polemico alla premier Meloni.
«Una leadership femminista guida il cambiamento ma vuole portare con sé le altre. Faccio un esempio: Funaro, a Firenze, ha detto che le è venuto “naturale” nominare molte assessore. “Naturale” è il segno di una consapevolezza: se metti in primo piano le donne, possono essere trainanti per le altre. Solo così i “role model” si sviluppano». Non quote, dunque, ma «un femminile potente e competente. È il compito che si è data la Conferenza nazionale in collegamento con le conferenze territoriali. Ma per attrarre l’attenzione delle donne bisogna incrociare i loro bisogni i concreti».
Mori ha vissuto questa storia in prima persona. Per dieci anni, da 1999, è stata sindaca di Castelnovo, a Reggio Emilia: aveva meno di trent’anni, «e all’inizio era una fatica anche solo essere riconosciuta sindaca». Oggi lavora a portare le donne alla politica o, meglio, la politica dalle donne: «Andiamo fra la gente a parlare di lavoro, di salario, di autonomia differenziata. Ma le assicuro che anche sulla difesa della legge 194 si mette insieme la costruzione dell’alternativa. Perché contiene tutto un modello sociale: la sanità pubblica, la necessità di consultori laici e accoglienti, anziché quelli degli occhi giudicanti delle associazioni pro-vita a cui il governo ha aperto le porte. E poi l’autodeterminazione e la soggettività femminile. Intorno alla difesa della 194 sta nascendo un movimento. Sarà un’estate militante», è la formula usata dalla segretaria, «e femminista. E attenzione, saremo pervasive».
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