L’Eurogruppo ha confermato che nel 2025 ci sarà una stretta sulla spesa: crollano le speranze italiane di avere altri margini di flessibilità. La confusionaria trattativa di Meloni per i vertici dell’Unione ha complicato il dialogo. Bruxelles ci guarda con più diffidenza di prima
L’Eurogruppo ha sferrato il colpo del ko ai proclami del governo Meloni, che vorrebbe spendere per mantenere le promesse elettorali, dalla flat tax alla riforma delle pensioni. Un piatto indigesto ancora di più per la Lega di Matteo Salvini, che chiede di allargare i cordoni della borsa per rilanciare l’economia.
Invece la prossima manovra economica dovrà essere all’insegna della «ristrettezza delle politiche fiscali», come prescritto dal documento finale della riunione di ieri con i ministri dell’Economia europei come protagonisti.
Una dichiarazione di intenti che suona come il preludio a una legge di Bilancio, che se non sarà «lacrime e sangue», come ha promesso Giancarlo Giorgetti, quantomeno non prevederà dei margini per misure elettorali.
Dovrà iniziare il rientro dal deficit, che sarà valutato dall’Eurogruppo dopo le prime bozze preparate dagli esecutivi a ottobre. Il paletto è stato fissato, questa volta nessuna operazione di finanziamento in deficit come avvenuto nell’ultima finanziaria.
L’unico vantaggio per Meloni, si fa per dire, è che nel 2025 non sono previste elezioni nazionali. L’operazione è leggermente meno impattante dal punto di vista politico, anche se in ballo ci saranno regioni di peso. Un dilemma per la premier, approdata a palazzo Chigi con la promessa di cambiare l’Europa.
Conti noti
Ma lo scenario disegnato da Bruxelles non è affatto una novità per Giorgetti. Il ministro dell’Economia lo sa da tempo. Lo ha ripetuto durante gli incontri privati con gli altri ministri e non lo ha taciuto nelle dichiarazioni pubbliche: niente svolazzi di fantasia – e di spesa – sulla prossima manovra economica. Anzi, massima attenzione su ogni centesimo. Finita, dunque, l’epoca dell’“economia Lsd”, sigla che sta per «lassismo, sussidi e debito», come definita proprio da Giorgetti, in sintonia con le richieste di Bruxelles.
Molto meno concordanti con quelle del suo governo. Un compito tutt’altro che semplice per l’attuale numero uno del Mef: dovrà fare i conti con gli appetiti della maggioranza.
Poco male. L’Eurogruppo ha messo nero su bianco il perimetro entro cui muoversi. «L’attuazione del quadro di governance rivisto porterà a una posizione fiscale restrittiva per l’area dell’euro nel suo complesso nel 2025», si legge nella dichiarazione di fine riunione. La prospettiva resta quella di un «intervento graduale».
L’impegno punta a compiere degli «sforzi per migliorare l’efficacia, la qualità e la composizione della spesa pubblica». Il messaggio riguarda tutti, ma guardando ai conti italiani è ancora più significativo.
La traduzione per Roma è semplice: nella prossima legge di Bilancio occorre valutare al millimetro ogni singolo capitolo di spesa, cercando comunque una certa disponibilità al dialogo dei partner europei per trovare un minimo di flessibilità. Solo che il ministro dell’Economia italiano ha portato poco o nulla sul tavolo europeo per chiedere qualcos’altro in cambio.
Errore europeo
Meloni continua a tenere le distanze dalla maggioranza che sosterrà la prossima Commissione con un orientamento all’astensione definita «benevola».
Ma pur sempre astensione resterebbe. Una decisione che maturerebbe dopo la gestione confusionaria della trattativa con la presidente Ursula von der Leyen.
Un percorso che ha visto la presidente del Consiglio finire ai margini con il conseguente aumento della diffidenza europea nei suoi confronti.
Se in termini politici il governo italiano non è stato efficace nell’Ue, ancora peggio va sui dossier più scottanti. E che per Bruxelles sono importanti.
La vicenda-balneari, tanto per citare un caso, si trascina da mesi. La destra meloniana è in un vicolo cieco: non vuole scontentare una lobby da sempre vicina e deve dare risposte all’Europa sul piano della concorrenza sui mercati. E c’è il tema del bilancio pubblico, ossia delle riforme strutturali per garantire un minore peso sulle casse pubbliche.
Giorgetti, insomma, deve spiegare – almeno a grandi linee – quali sono le intenzioni per ridurre la spesa e innescare un processo virtuoso.
Certo, il nuovo Patto di Stabilità allunga i tempi per attuare politiche più attente alla spesa. Ma l’Eurogruppo di ieri ha suonato la campanella sulla possibilità di fare deficit.
Il ministro dell’Economia tedesco, Christian Lindner, aveva anticipato il contenuto dell’incontro: «Dovremmo focalizzarci sulla Unione dei mercati dei capitali, è questo lo svantaggio competitivo che abbiamo rispetto agli Usa», ha detto ritenendolo «molto più importante che qualunque corsa a considerare altri debiti pubblici e la mutualizzazione dei debiti pubblici tra Paesi».
Berlino non è disposta a fare da parafulmine per i debiti altrui. Un’indicazione che confermata con toni altrettanto perentori dal ministro dell’Economia finlandese, Riikki Purra: «L’orientamento deve essere restrittivo nel 2025».
E lo stesso commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni aveva avvertito: «Il consolidamento fiscale è una necessità per diversi paesi, specialmente quelli che sono soggetti a procedura».
Lasciando sul campo una consapevolezza. «L’aggiustamento del deficit non è un compito facile per nessuno». Altro che sogni di gloria per il governo Meloni.
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