Nella Giornata nazionale dell’università, ricercatori e dottorandi italiani sono scesi in piazza in più di 15 città contro i tagli alla ricerca e la riforma Bernini sul pre-ruolo, influenzati anche da guerra e riarmo. Il prossimo passo è uno sciopero generale: «I nuovi contratti di ricerca prevedono costi elevati e attualmente insostenibili per le università: non sappiamo cosa succederà»
«Prevediamo un’espulsione in massa di noi precari». Nelle piazze e nelle università di più di quindici città, in migliaia hanno aderito alla mobilitazione nazionale contro i tagli alla ricerca e la riforma Bernini sul pre-ruolo: il prossimo passo è uno sciopero generale.
Bologna
A Bologna, l’appuntamento era intorno alle 8 del mattino per un presidio di fronte il rettorato, in via Zamboni. Sul luogo si sono ritrovati dottorandi, ricercatori, docenti, personale precario e studenti: tutti e tutte insieme hanno aderito alla mobilitazione nazionale, annunciata nelle scorse settimane, che si oppone ai tagli e alla riforma Bernini.
«Abbiamo bloccato gli ingressi del rettorato e abbiamo anche avuto una buona risposta dei lavoratori e delle lavoratrici che stanno negli uffici», racconta Marco, dottorando presente al ritrovo. La mobilitazione di Bologna – dove si erano svolte le assemblee di febbraio, che hanno dato il via alle animazioni del 20 marzo – è stata pensata anche in risposta ai fatti avvenuti in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico, quando i manifestanti precari sono stati fermati ed è stato loro impedito di raggiungere l’aula magna, dove si teneva la cerimonia di inaugurazione.
«Da allora chiediamo un’assemblea pubblica per discutere con l’Università. Oggi abbiamo approfittato di una visita istituzionale del rettore per chiedere la convocazione dell’assemblea: non ci è stata ancora concessa, ma ha preso tempo».
Milano
Poche e insufficienti sono anche le risposte che hanno ricevuto i precari e le precarie in protesta a Milano. La mobilitazione lombarda si è aperta in mattinata con delle lezioni tenute negli spazi aperti tra gli edifici di Milano-Bicocca. A mezzogiorno i manifestanti hanno cercato un momento di confronto con la rettrice e presidentessa della CRUI, alla quale è stata consegnata una lettera aperta.
Con essa, spiegano le assemblee precarie, «le abbiamo chiesto di rispondere e dire apertamente che è contro il ddl, di provare a muoversi per i rifinanziamenti all’università pubblica. Vogliamo un rifinanziamento, vogliamo che la CRUI si esponga». Sebbene di fronte alle richieste iniziali la rettrice si sia detta solidale, «quando abbiamo insistito di più sulle briciole che hanno stanziato per i contratti di ricerca, non ha più risposto», riportano dalla piazza.
Le altre città
Delle lezioni all’aperto si sono tenute anche a Palermo, a Torino e a Bari. Invece a Pisa, dove le lezioni in piazza si svolgevano già dal 17 marzo, alcuni manifestanti, durante un presidio molto partecipato in Piazza Dante, hanno raggiunto e occupato il rettorato. «A modo nostro, abbiamo deciso di aderire anche noi e lo faremo proprio dal rettorato, svelando cosa è davvero l’università italiana», hanno comunicato successivamente i partecipanti.
Interventi e lezioni aperte anche a Napoli: qui, nel pomeriggio, gli aderenti all’assemblea precaria hanno interrotto un convegno che vedeva la partecipazione dei rettori degli atenei cittadini e del sindaco Gaetano Manfredi, per denunciare ancora una volta le condizioni di lavoro insufficienti e precarie del personale di ricerca.
Nel frattempo, a Firenze, al polo di Novoli, le assemblee precarie, in coordinamento con Flg Cgil e Collettivo Fabbrica Gkn, hanno organizzato un presidio e una “passeggiata rumorosa”, durante la quale sono intervenuti le rappresentanze presenti e alcuni giovani palestinesi di Firenze.
Nel corso della giornata, i manifestanti sono entrati nei dipartimenti e nelle aule, interrompendo le lezioni, per raccontare le ragioni della contestazione. Il clima è di soddisfazione, racconta Matteo, dottorando dell’ateneo fiorentino, «ma la volontà è quella di riuscire a intavolare un dibattito interno per sviluppare delle azioni che abbiano più impatto, che riescano a mettere in difficoltà l’ateneo».
Il rischio «espulsioni di massa»
In molte città, sono stati predisposti dei momenti assembleari per discutere dei temi cruciali che animano da mesi le realtà universitarie. Ai tavoli di lavoro delle assemblee precarie di Milano si è parlato soprattutto di precariato. «Molti assegni di ricerca sono in scadenza e l’incertezza delle nuove forme contrattuali rende impossibile l’assunzione di nuovo personale. I nuovi contratti di ricerca prevedono costi elevati e attualmente insostenibili per le università: non sappiamo cosa succederà, prevediamo un’espulsione di un numero consistente di noi precari».
Dichiarazioni non diverse arrivano da Roma, dove studenti e lavoratori precari di Tor Vergata, Sapienza e Roma Tre si sono riuniti in assemblea negli spazi della Sapienza, e da Padova, dove il Corda, il coordinamento ricercatori, dottorandi e assegnisti, ha guidato un’assemblea tenutasi nello storico edificio di Palazzo Bo.
Così a Bologna, dove si è parlato anche della guerra, del riarmo e di come questo stia influenzando le logiche dei finanziamenti, che «vengono spostati soprattutto in spese militari, generando un impatto su di noi, il nostro lavoro e la nostra ricerca. Ci chiediamo cosa possiamo fare dentro l’università per opporci alla guerra».
Una denuncia diffusa, che emerge dalle testimonianze di tutto il personale di ricerca colpito dai tagli ai finanziamenti e dalla riforma Bernini, riguarda la posizione incerta che molti rettori e molte rettrici continuano ad avere rispetto a entrambe le questioni. La giornata è stata un’occasione per pensare a un prossimo momento di protesta: «Contesteremo in tutti i momenti in cui sarà possibile e come assemblee vogliamo convergere per creare un fronte unitario che porti a uno sciopero generale».
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