Approda in Senato il disegno di legge del ministro Valditara che mira a inasprire il regime del voto in condotta in nome della “cultura del rispetto”. Verrebbe istituita anche la giornata della prevenzione della violenza contro il personale scolastico e aumentate le pene per gli episodi violenti. Un approccio ascientifico che non ha nulla a che vedere con l’obiettivo di sviluppare le competenze di cittadinanza
A essere in discussione in questi giorni al Senato è il Ddl S. 924-bis, Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. Il disegno agisce su due direttrici principali: il voto di condotta e l’autorevolezza (si legga: autorità) degli insegnanti. Nel primo ambito, la valutazione del comportamento, la proposta prevede che sia predisposto un giudizio sintetico alla primaria, in decimi nella secondaria. Con voto inferiore al 6 c’è la bocciatura o la non ammissione all’esame di stato. Con voto pari a 6, nella secondaria di secondo grado, si è rimandati a settembre per essere valutati su di un «elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale assegnato dal consiglio di classe in sede di scrutinio finale». Si può inoltre accedere al voto massimo della fascia del credito solo con voto uguale o superiore a 9. Infine, si prevedono delle modifiche all’istituto dell’allontanamento e azioni di volontariato presso strutture convenzionate con la scuola.
Per quanto riguarda l’autorità degli insegnanti, invece, si propone l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza del personale scolastico e della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico. Più rilevanti, sono però le modifiche del codice penale: per i reati di “violenza o minaccia” e di “oltraggio” a pubblico ufficiale, le pene vengono aumentate fino alla metà se commesse nei confronti di un dirigente, di un docente o altro membro del personale scolastico.
Sorvolando sulla confusione che in questi documenti si fa tra voto e valutazione, i disegni di legge sul voto in condotta e sulla tutela dell’autorità degli insegnanti sancita tramite modifica del codice penale sono due facce della stessa medaglia: il progetto di una scuola che si ritira dal confronto educativo (sempre più difficile e faticoso, per carità) per risalire sulla predella oramai fatiscente e inefficace delle sanzioni, delle punizioni e degli allontanamenti.
Si tratta di interventi che non poggiano su nessun costrutto teorico, né su alcun dato scientifico. Infatti, secondo uno studio condotto nelle scuole tedesche al momento dell’introduzione graduale del voto di comportamento, non c’è alcuna evidenza che il voto di condotta migliori il rendimento scolastico o le possibilità di successo nella transizione al mondo del lavoro e nello sviluppo di abilità non cognitive (Schoner, Mergele, Zierow, Grading Student Behaviour, 2021).
Secondo quanto riportato in commissione dai relatori di FdI e della Lega, le modifiche del quadro normativo sono orientate a quella che Valditara definisce spesso “cultura del rispetto” e alla riaffermazione dell’autorevolezza dei docenti. Ed è questo a balzare maggiormente agli occhi: un interesse tutto orientato verso la tutela della figura del docente, senza interventi di tipo positivo per quanto riguarda studenti e famiglie, che si ritrovano solo con un nuovo sistema di pene e punizioni a pendergli sopra il capo.
Inasprire le pene invece di promuovere politiche che favoriscano, anche attraverso gli investimenti, la creazione di comunità educanti, gli interventi di esperti esterni; così il servizio verso il territorio (una pratica educativa di grandissima efficacia e significato, il service learning) si trasforma in una punizione a scopo rieducativo. Una politica miope, che si ostina a non ammettere che l’autorevolezza della classe docente non si ottiene a suon di punizioni ma di investimenti: nella formazione, nella retribuzione, nel finanziare reti di sostegno dentro e fuori dalla scuola.
Chi vive la pratica dello scrutinio, non può non essere preoccupatə, soprattutto se si tratta di insegnanti ancoratə ai valori democratici. Avallare con la normativa la retorica della punizione attraverso il voto lascerà campo aperto a chi schiuma per ottenere la propria vendetta attraverso la sanzione della condotta. Perché non bisogna dimenticare che il voto in condotta è in qualche modo figlio dell’abbandono delle punizioni corporali: uno strumento per disciplinare e controllare attraverso le forme della minaccia e della coercizione.
L’attribuzione del voto di condotta è quindi, molto spesso, un terreno di battaglia. Per quanto infatti ci si possa appoggiare a griglie di valutazione (elaborate dall’istituto, quindi diverse da contesto a contesto), si tratta alla fine di giudizi fortemente impressionistici: quante volte, durante i consigli, ci si ritrova a discutere della condotta di unə studente che, stando alle descrizioni che ne danno due docenti diversi, sembra somigliare a Dottor Jekyll e Mr Hyde? In inglese fa sempre i compiti e in francese mai, in matematica è partecipe e rispettoso mentre in scienze dorme tutta l’ora, con certi professori è un teppista e con altri un alunno modello. Mettiamo un voto mediano, ma comunque sempre più verso il basso, perché certi peccati non possono essere lasciati impuniti. Occorre mandare un segnale. Il voto come una specie di razzo tracciante nella notte della pedagogia.
Questa opacità di giudizio insieme alla constatazione della mancanza di efficacia – soprattutto negli istituti più difficili – ha determinato che nel 2014 in Francia si procedesse all’abolizione del voto di comportamento (note de vie scolaire), che valutava cose note: frequenza, puntualità, partecipazione.
Il nodo che ovviamente resta riguarda il rapporto tra voto in condotta e sviluppo di competenze di cittadinanza. Al momento, le due cose sono separate e occupano le ultime (e spesso neglette) due colonne del registro. La riforma proposta dal ministro, nonostante contenga la promessa di nuove linee guida in materia di cittadinanza, pare al momento andare in direzione opposta.
Sarebbe invece auspicabile una politica che si impegni a favorire e promuovere attività e percorsi nei quali lə studenti siano portatə a riflettere sui propri comportamenti e atteggiamenti, anche nella scoperta del proprio spettro emotivo. Perché sei aggressivə? Perché non riesci a collaborare nei lavori di gruppo? Perché durante queste ore sembri passivə e assentə? Domande del genere aprono a una riflessione più ampia, che coinvolge la didattica e la relazione, ma anche il mondo fuori. Potremmo scoprire di dover mettere in discussione alcuni metodi di insegnamento, accettare che certe nostre lezioni sono mortalmente noiose, che l’aggressività è una risposta a una nostra prepotenza.
Potremmo concordare degli obiettivi condivisi, darci degli strumenti per migliorare lo stare in classe tutti i giorni, e verificare nella valutazione il raggiungimento di quegli obiettivi che sono significativi per lə studenti e per il gruppo classe. E smettere così di mettere un voto sulla base di quanto stanno fermi, buoni, zitti, non mangiano e non vanno in bagno. Che è cosa ben poco umana.
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