Gli argini che lo staff della Casa Bianca hanno costruito intorno a Joe Biden stanno per crollare e il ritiro si avvicina. Secondo Axios potrebbe essere annunciato già questo fine settimana.

Gli sforzi che sono stati fatti in questi giorni da parte del cerchio magico del presidente per contenere la ribellione all’interno del mondo democratico sembrano sul punto di essere vanificati da quella che assume i tratti di una congiura dei maggiorenti del partito.

La nomina di Biden, quindi, non viene “salvata” dall’attentato a Donald Trump, ma viene ancor più messa in discussione. Ad aver dato fuoco alle polveri è stata la notizia rivelata dal Los Angeles Times che il deputato californiano Adam Schiff avrebbe chiesto al presidente di ritirare la propria candidatura.

Il ruolo di Pelosi

Schiff non è solo l’ex presidente della commissione intelligence della Camera, incaricato delle indagini nel primo impeachment di Trump e gran favorito per diventare il prossimo senatore del Golden State contro un debole avversario repubblicano. È soprattutto uno stretto alleato dell’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e la sua parola viene vista quindi come conferma della volontà dell’anziana leader di rimpiazzare il presidente.

In effetti i retroscena concordano con questa versione che non viene smentita dai collaboratori di Pelosi: uno scetticismo totale sul fatto che Biden abbia anche solo una chance di vittoria.

Anche il leader del gruppo dem al Senato, Chuck Schumer, ha avuto una conversazione sabato con il presidente, rivelata dalla rete tv Abc, dove brutalmente veniva affermato il principio che, secondo i sondaggi e vista la situazione politica, sarebbe meglio che Biden si ritirasse. Nessuna smentita, se non una capziosa richiesta di precisazione da parte dell’ufficio stampa di Schumer.

Ipotesi Kamala Harris

Così, se fino a una decina di giorni fa l’unica strategia era la chiusura nel bunker della Casa Bianca e la richiesta agli altri esponenti politici di cessare le critiche sulla senilità di Biden e di attaccare Trump con ogni mezzo, ora il presidente sembra molto più aperto ad ascoltare le argomentazioni di chi ipotizza un suo ritiro.

L’attentato di sabato scorso, con il tycoon pronto a reagire allo sparo che lo ha colpito a un orecchio, ha reso complicato qualsiasi attacco nei confronti dell’avversario. E quindi Biden starebbe chiedendo sempre più spesso se Kamala Harris possa essere una scelta vincente per i dem, magari in ticket con un esponente politico della Rust Belt come il popolarissimo governatore della Pennsylvania Josh Shapiro.

A far saltare l’ultimo argine è stato il test di positività al Covid che il presidente ha fatto mercoledì sera, dopo che per tutta la giornata aveva tosse e raffreddore. Anche se i portavoce dicono che Biden ha solo «sintomi lievi», il fatto che presumibilmente debba stare fermo per una decina di giorni è forse il colpo finale a una campagna in crisi. Uno dei co-leader della campagna dem, Jeffrey Katzenberg, ha detto con franchezza che le donazioni sono totalmente bloccate dallo scorso 27 luglio.

Negli ultimi giorni c’era anche stata la sterzata a sinistra dell’inquilino della Casa Bianca, che per mantenere i consensi di almeno una corrente dem, ha cominciato a promettere la cancellazione dei debiti sanitari, un meccanismo di controllo nazionale degli affitti e persino una riforma della Corte suprema che introdurrebbe mandati ventennali per i giudici insieme a un duro codice etico che non consentirebbe loro di accettare doni da parte di generosi magnati di qualsiasi colore politico.

Quest’ultimo provvedimento avrebbe richiesto un emendamento costituzionale che richiederebbe, oltre all’approvazione del Congresso con una maggioranza dei due terzi, l’approvazione da parte delle assemblee locali di almeno 38 stati. Un’impresa impossibile ma che ha spinto politici che quattro anni fa non avevano una buona opinione di Biden a difenderlo. Bernie Sanders, Alexandria Ocasio Cortez e persino il deputato californiano Ro Khanna si sono schierati con lui, contro ogni buonsenso, se non, come suggerisce un’analisi del settimanale progressista The Nation, per spostare definitivamente i dem a sinistra anche nelle prossime tornate. Una mossa che però non è servita a nulla.

Se non ora, quando?

La domanda che tutti si fanno, a questo punto, è: quando avverrà il ritiro della candidatura? Secondo un retroscena pubblicato da Axios, già nel fine settimana.

Anche perché, dopo un’iniziale difesa, l’ex presidente Barack Obama rimane in silenzio, mentre il suo ex capo stratega David Axelrod sta dicendo da giorni che Biden non ha speranze e che rischia di affossare anche le chance di conquistare la maggioranza alla Camera e ridurre le perdite al Senato, che sarebbero gli unici contrappesi a un’eventuale nuova presidenza di Trump.

Del resto a Milwaukee i repubblicani danno sfoggio di unità anche su temi controversi come il protezionismo, le deportazioni di massa e l’isolazionismo che viene promesso nel discorso immaginifico del candidato vicepresidente J. D. Vance.

Il contrasto appare molto stridente: da un lato c’è un partito riunito intorno al leader ferito, che era uscito di scena dopo aver invocato l’assalto al Congresso il 6 gennaio del 2021. Dall’altro c’è un presidente che ha avuto un primo biennio estremamente produttivo dal punto di vista legislativo e che ha avuto un buon risultato persino al midterm del 2022, che però ha nascosto per mesi il suo vero stato di salute. E che, proprio per questo, ora, sarebbe pronto a farsi da parte.

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