L’ultimo partito politico del continente nero a richiedere l’assistenza del Partito comunista cinese è stato lo United Democratic Alliance (Uda), al governo in Kenya. L’accordo col Pcc prevede che nella capitale Nairobi sarà presto aperta una scuola di leadership, per «coltivare giovani leader africani».

Per costruirla l’Uda ha chiesto 1 miliardo di scellini (circa 8 milioni di dollari) in occasione della visita a Pechino nella primavera scorsa del segretario generale, Cleophas Malala: dieci giorni di confronto con i dipartimenti “organizzazione” ed “esteri” del Pcc, focalizzati sui temi del rafforzamento del partito e della modernizzazione.

Al governo per sempre

Le élite africane che oggi si destreggiano con l’Occidente e con la Cina, si aspettano da quest’ultima una mano nella governance, a cominciare da quella del partito oltre ai finanziamenti per le infrastrutture della nuova Via della Seta e a investimenti produttivi. E, per rimanere al potere il più a lungo possibile, probabilmente non esiste una scuola più efficace di quella del partito che guida ininterrottamente la Cina dal 1949.

L’obiettivo dell’Uda è quello di riconfermarsi con il voto del 2027 e raddoppiare in un paio d’anni gli iscritti (attualmente circa 9 milioni). «La nuova scuola non sarà riservata solo ai leader eletti e ai funzionari del partito, ma anche ai membri della segreteria per sviluppare le loro capacità e diventare persone migliori negli affari del partito. Abbiamo avuto una discussione approfondita sull’importanza dei programmi di scambio tra entrambi i partiti politici», ha spiegato Malala di ritorno dal suo viaggio in Cina.

Il 22 febbraio 2022 a Kibaha, nella confinante Tanzania, era stata inaugurata la Julius Nyerere Leadership School, intitolata alla memoria del padre della patria, tra le figure più influenti del socialismo africano, e sostenuta dalla scuola di partito del comitato centrale del Partito comunista cinese. Si tratta della prima scuola di politica istituita all’estero dal Pcc, in un continente nel quale la Cina (a Gibuti) ha la sua finora unica base militare oltre frontiera, e con il quale nel 2023 il commercio bilaterale ha raggiunto un valore di 282 miliardi di dollari.

Attraverso quest’istituzione il Pcc ha rinsaldato gli storici legami con sei movimenti di liberazione - tutti attualmente al governo - assieme ai quali viene diretta la Julius Nyerere Leadership School: il Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla), il Fronte per la liberazione del Mozambico (Frelimo), l’Organizzazione popolare dell’Africa del Sud-Ovest della Namibia, il sudafricano African National Congress, lo Zanu-Pf dello Zimbabwe e il Partito rivoluzionario (Ccm) della Tanzania.

Nel messaggio inviato per l’occasione a questi partiti amici, il presidente cinese, Xi Jinping, ha sostenuto che «è urgente che la Cina e i paesi africani rafforzino la solidarietà, lo sviluppo comune e lo scambio di esperienze cinesi e la comprensione reciproca nella governance».

Il Pcc ha finanziato la scuola per gli ex movimenti di liberazione dell’Africa meridionale (Flmsa) con 40 milioni di dollari, e ha sostenuto anche la costruzione della Herbert Chitepo School of Ideology (completata nel maggio scorso) dello Zanu-Pf, fondato dall’ex presidente Robert Mugabe, il cui segretario generale, Obert Mpofu, ha ricordato come «durante la guerra di liberazione, seguivamo le lezioni di sovietici, cinesi e cubani e altri paesi progressisti dell’Est».

Trasformatesi da rivoluzionarie a governative, a queste formazioni l’ideologia e l’organizzazione serve a mantenere la presa sulla società, proprio come al Pcc. Per quest’ultimo sponsorizzare le scuole aiuta a tessere - attraverso i partiti politici - legami più discreti e più profondi di quelli che si articolano attraverso i tradizionali canali diplomatici e gli scambi di visite ufficiali tra governi.

Anche formazioni del Congo, dell’Uganda, del Marocco, del Burundi e della Guinea Equatoriale hanno chiesto assistenza al Pcc per istituire scuole di partito.

Softpower

Secondo un rapporto appena pubblicato dall’Africa Centre for Strategic Studies del dipartimento della difesa Usa, il Pcc intrattiene rapporti costanti con 110 partiti africani, al potere e all’opposizione, 35 parlamenti e 59 organizzazioni politicamente orientate, compresi i think tank di partito.

L’obiettivo è quello di estendere l’influenza della Cina in un continente giovane e ricco di risorse e che quest’anno dovrebbe crescere del 3,7 per cento e nel 2025 del 4,5 per cento. A tal fine, dal 4 al 6 settembre a Pechino si svolgerà la nona edizione del Forum on China-Africa Cooperation, che ruoterà attorno al tema “Prendersi per mano per promuovere la modernizzazione e costruire una comunità Cina-Africa di alto livello con un futuro condiviso”.

Secondo il documento dell’Africa Centre for Strategic Studies, «nonostante la crescita economica della Cina, quasi l’80 per cento degli africani rifiuta il partito unico. Tuttavia la formazione dei partiti e della governance in Cina ha il potenziale per radicare modelli di partito unico e dominante in Africa».

Lo studio sostiene che «anche i programmi di formazione del Pcc all’estero sono fortemente orientati alla conquista delle élite. Le élite nazionali, a loro volta, sono desiderose di sfruttare i loro legami con la Cina per consolidare il proprio dominio. Questa escalation avviene in un contesto di gravi battute d’arresto democratiche in Africa negli ultimi anni».

La Cina di Xi è convinta di dover giocare un ruolo sempre più importante nel continente, tanto che il Pcc, nelle ultime settimane, ha organizzato incontri sulla cooperazione giudiziaria con giudici delle corti supreme africane, forum con i governi locali del continente nero, e meeting per spiegare alle élite africane il significato del terzo plenum del partito appena concluso. Un’offensiva di softpower a 360 gradi con al centro il partito o, meglio, i partiti.

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