Nel rimpallo tra Rio e Baku per salvare la Cop29, la conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici in Azerbaigian, c'è un grande buco dentro il negoziato a forma di Unione europea. Come spiega Chiara Martinelli, osservatrice del vertice per Climate Action Network. «La prima settimana di Cop29 è stata caratterizzata da una leadership climatica debole, progressi lenti e obiettivi lontani. Se i leader europei sono seri nel loro impegno di non arretrare dal Green Deal, devono iniziare a fare passi concreti. L'Ue non sta aiutando, si presenta come un leader del clima e una costruttrice di ponti, ma non stiamo vedendo niente di tutto questo».

Una presa di posizione durissima, a nome della società civile, mentre per la conferenza sul clima è cominciata la seconda settimana. È finita la parte tecnica, ed è andata malissimo, ed è ricominciata quella politica, con i ministri in arrivo per condurre la nave del negoziato climatico in porto.

Europa assente

Per un attracco sicuro, serve una stiva piena di miliardi di dollari: i paesi del G77 (cioè tutto il mondo che a vario titolo si considera in via di sviluppo) chiedono 1300 di miliardi di dollari per non far saltare la transizione globale, che non si può fare senza di loro.

Nel 2023 l'Europa ha già tagliato le emissioni dell'8 per cento, ma nel resto del mondo quelle emissioni continuano ad aumentare. Per chiudere questo gap servono soldi, che per ora non si trovano, e in tanti si stanno voltando verso l'Unione europea per soluzioni che vanno trovate nel giro di quattro giorni (si chiude il 22 novembre).

Con gli Stati Uniti nelle condizioni che conosciamo, e il mondo dilaniato da crisi politiche e militari, la Cop29 per l'Unione europea sarebbe l’occasione per cementare l'unica leadership che può ancora vantare nel mondo, quella dell'impegno climatico, frutto del gran lavoro fatto col Green Deal.

Invece a Baku sta accadendo l'opposto, e sta montando insoddisfazione sull'incapacità Ue di giocare un ruolo da protagonista. Per il secondo anno di fila, il capo negoziatore è l'olandese Wopke Hoekstra, che a Baku si è rifiutato di rendere chiara l'unica cosa che il resto del mondo vuole sapere: fin dove è disposta a spingersi l'Unione, cosa propone, quanti soldi e a che condizioni.

La sensazione che filtra dalle stanze negoziali è che l'Unione stia giocando il gioco di chi salta fuori dall’auto per ultimo di Gioventù bruciata, non esporsi fino a quando la Cop29 sarà a un passo dal precipizio, e poi salvare la baracca con un’offerta prendere o lasciare. È una strategia rischiosa: il precipizio in cui si rischia di cadere sarebbe una Cop che si conclude senza aver deciso il nuovo obiettivo finanziario globale per il clima, il cosiddetto New Collettive Quantitative Goal (NCQG).

Se non si troverà un compromesso su cifra e condizioni, centinaia di paesi di sud globale ed economie emergenti non potranno rinnovare al rialzo gli impegni previsti dall'accordo di Parigi, che scadono nel 2025. Sarebbe un disastro per questa e la prossima Cop, quella della foresta amazzonica.

L'unico obiettivo dichiarato dell'Ue è allargare la platea dei donatori. «Alcuni paesi sono diventati ricchi negli ultimi trent'anni, alcuni molto ricchi, da quella ricchezza derivano anche grandi responsabilità», ha detto Hoekstra, parafrasando il famoso motto di Spiderman sul potere e le responsabilità. Tradotto: siamo disposti a impegnarci solo se Cina, Arabia Saudita, Qatar, Emirati e altri rinunciano allo status (e al privilegio) di considerarsi paesi in via di sviluppo, «visto che sono più ricchi di quasi tutti i paesi dell'Ue», e si impegnano al nostro fianco nel trasferire soldi per la crisi climatica.

Una posizione ambiziosa e anche ragionevole, il punto è che all'Unione europea manca la forza politica per ridisegnare così a fondo la mappa del mondo. A inizio Cop29, Politico è uscito con lo scoop che l'Unione mancherà la scadenza per presentare il suo impegno climatico, l'Ndc che avrebbe dovuto dare l'esempio agli altri e che invece non arriverà in tempo perché ci sono troppe divisioni sulla questione clima.

Le contraddizioni 

L'Unione è distratta dalle cruente audizioni per i commissari. Anche il fatto che ci troviamo in Azerbaigian sembra pensato per stanare l'Ue, che propone al mondo di abbandonare l'uso dei combustibili fossili ma lo deve fare sul suolo di un paese al quale due anni fa ha disperatamente chiesto di aumentare la produzione del gas per salvarla dalla dipendenza da Putin.

Il presidente azero Aliyev ha avuto gioco facile nel dire che per lui petrolio e gas sono doni di Dio, ma che quei doni hanno degli acquirenti e che quegli acquirenti siamo principalmente noi. Hoekstra ha ammesso che il ciclo elettorale e le sue conseguenze politiche hanno reso le decisioni più difficili, «ma questa è la realtà e dobbiamo accettarla».

A Cop29 stanno emergendo altre due leadership, in attesa che l'Unione faccia pace con le sue contraddizioni. La presidenza ha affidato la supervisione del negoziato a Brasile e Regno Unito, gli unici due ad aver già presentato degli Ndc all'altezza della sfida (è arrivato anche quello degli Emirati, che per ovvii motivi è più debole).

C'è una sola cosa su cui parti divise su tutto invece concordano: l'appello al G20 per sbloccare la situazione. «Chiediamo un segno», ha chiesto il presidente della Cop Babayev. A questo punto suona quasi come una preghiera, chissà se allo stesso dio che eroga idrocarburi.

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