Su mandato di Vladimir Putin, Kirill Dmitriev, a capo del Fondo russo per gli investimenti diretti, ha concluso venerdì i colloqui durati due giorni con l'inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff, alla Casa Bianca. «Positivo», «costruttivo» è stato il dialogo, l'incontro, secondo Dmitriev: sono stati fatti «tre passi avanti su un gran numero di questioni».

Tre passi - come i tre anni che le due superpotenze non si parlavano davvero: adesso sicuramente seguiranno «altri incontri di importanza cruciale». Per farlo arrivare a Washington, il Tesoro Usa ha dovuto temporaneamente sospendere le sanzioni in vigore contro l'alto papavero: la sua, è stata la prima visita di un superfunzionario del Cremlino da quando i canali russo-statunitensi si sono spezzati nel febbraio 2022.

Opzioni reali

Per Dmitriev «Trump è determinato a individuare opzioni reali e durature per la soluzione della crisi con l'Ucraina», «ha evitato una terza guerra mondiale, ma anche reso possibili progressi significativi per una soluzione del conflitto»: una soluzione a lungo termine gli sembra vicina; condivide l'opinione del segretario di Stato americano Marco Rubio che però ha assicurato che il presidente Usa non cadrà nella trappola dei «negoziati infiniti», e infatti «nel giro di settimane, non di mesi si capirà se la Russia è seria riguardo alla pace o meno».

Intanto una crepa nel muro russo sembra essersi già aperta: «Alcune garanzie di sicurezza, in una forma o nell'altra, potrebbero essere accettabili», ha dichiarato Dmitriev alla tv ammiraglia del mondo trumpiano, l'emittente Fox News, senza però sbilanciarsi in dettagli. Di certo non si è incrinata la volontà di Mosca di tenere l'Ucraina fuori dalla Nato: l'entrata nell'Alleanza è «completamente impossibile».

E bastano anche i niet ripetuti dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in questi ultimi mesi per supporre che non si tratti nemmeno di una luce verde alle truppe Nato alla frontiera di guerra, di un peacekeeping occidentale al confine russo.

Lo ha spiegato Dmitriev con parole semplici, che non lasciano spazio all'incomprensione: l'amministrazione Trump «comprende le preoccupazioni della Russia», l'obiettivo da raggiungere è la «restaurazione delle relazioni e dialogo che si è interrotto sotto l'amministrazione di Joe Biden», anche se si è accorto che «molti attori stanno cercando di interromperlo».

È stata la Nbc a riferire che l'amministratore del Fondo ha incontrato anche i senatori Lyndsey Graham e Markwayne Mullin, ma con i rappresentanti del tycoon non ha parlato solo del cessate il fuoco. Ha discusso anche di ciò che giostra con più maestria: questioni «di natura economica e di investimento», «cooperazione economica tra Russia e Stati Uniti nell'Artico, sulle terre rare e in altri settori».

Il negoziatore - che il presidente russo, scaltramente, non ha scelto a caso - è stato privilegiato nella schiera dei devotissimi per fare da sherpa tra due mondi separati dall'oceano e dalle ideologie, ma vicini per comunanza d'interessi. Ha assicurato ai repubblicani che Mosca c'è: vuole un accordo per la pace e ne vuole anche un altro, di natura finanziaria.

Le aziende statunitensi, ha dichiarato Dmitriev, sono pronte a riempire il vuoto lasciato da quelle europee, scappate nel 2022 dalla Federazione sotto pressione dell'opinione pubblica e delle politiche democratiche di un'era che ora sembra lontanissima (quella di Biden). Ma «solo se il governo russo lo approverà e se verranno create joint venture con imprese russe», poiché questa è la «priorità».

Mentre venerdì i mercati finanziari colavano a picco disciolti dai dazi trumpiani, al rialzo schiacciava solo una borsa: quella di Mosca, che registrava un più 2 per cento rispetto al giorno precedente. Già ipersanzionata dal 2022, la Russia (insieme a Bielorussia, Cuba, Corea del Nord) è stata risparmiata dalla sciabolata finanziaria del repubblicano. Le acque agitate dei mercati le naviga da sempre Dmitriev che gestiva, prima di riuscire ad accedere nelle stanze più chiuse del Cremlino, il Fondo di investimenti del paese in cui è nato: l'Ucraina (ma quando era sovietica).

Un passato a Harvard

Prima ancora ha studiato ad Harvard e lavorato per Goldman Sachs: è un uomo dalle mille facce, ma una sovrapposta all'altra, non ne tiene segreta nessuna. Sempre più in vista da quando ha cominciato ad aggirarsi per le stanze dei negoziati tra russi e americani in Arabia Saudita, è sempre calmo e mai falco, mai stridulo come la schiera dei più radicali della Duma: ha finora rilasciato solo tiepide dichiarazioni favorevoli al ripristino delle relazioni.

Secondo alcune fonti del sito Politico, avverrà a breve – forse già entro il weekend – una nuova telefonata tra il presidente statunitense e l'omologo russo, anche se il portavoce del Cremlino Peskov si è affrettato già a smentire la notizia. Non sembra però un'informazione inverosimile: sembra la firma che spesso lascia, dopo ogni attraversamento nella complessa ragnatela diplomatica, Dmitrev.

È accaduto anche per il primo colloquio Trump-Putin che seguì alla visita di Witkoff a Mosca, quando fu liberato il prigioniero statunitense Fogel. L'inviato speciale di Trump disse allora che era stato aiutato da un gentiluomo di Mosca, un «gentleman di nome Kirill».

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