La sola cosa di cui avere paura è la paura stessa». Più che un motto e uno stile di vita è una frase che – pronunciata nel suo discorso di insediamento – rimanda a un programma politico, una visione complessiva della società che si apprestava a governare. Franklin Delano Roosevelt assunse la presidenza degli Stati Uniti d’America nel guado tra la Grande depressione e l’acuirsi delle tensioni internazionali e dell’imminente Seconda guerra mondiale.

FDR venne eletto per la prima volta nel 1932 sconfiggendo l’uscente Herbert C. Hoover con una schiacciante vittoria che gli permise di primeggiare in quasi tutti gli Stati (tranne sei) e di raggiungere il 57 per cento dei consensi; condizione che per i democratici non si verificava dal 1852. FDR era governatore di New York, di cui era stato senatore nel 1910, ed era stato candidato vice-presidente nel 1920.

Il New Deal

Le elezioni del 1932 furono cruciali perché rappresentarono l’epigono del sistema partitico nato nel 1896 con il dominio repubblicano e posero fine all’astinenza presidenziale dei democratici che perdurava dal 1916. Le lacerazioni della crisi economica e finanziaria furono affrontate con il New Deal, la ricetta politica, economica e sociale con cui FDR propose di rilanciare gli Usa e di ridare speranza e fiducia ai cittadini. Il “nuovo corso” prevedeva ingenti finanziamenti per una cospicua agenda di lavori pubblici (si pensi alla diga Hoover, da questi promossa, ma effettivamente portata a termine da FDR), di riforme sociali ed economiche, di tassazioni sulla ricchezza in chiave di maggiore uguaglianza.

La fine del proibizionismo, maggiori controlli sulle possibili manipolazioni del mercato, ma soprattutto interventi sociali, quali la Social Security che rafforzò il sistema di welfare e di sicurezza sociale nonché il cosiddetto Wagner Act che permise alle Unions di essere attive per i lavoratori del settore privato. La creazione della Public Works Administration supervisionò la costruzione di strade, oltre il 70 per cento di nuovi edifici scolastici pubblici, il 65 per cento di tribunali, il 35 per cento di strutture sanitarie, municipi, fognature, ponti, metropolitane…

Puntò a rilanciare il commercio e l’agricoltura, risollevare i livelli di occupazione (quando FDR entrò in carica c’era il 23 per cento di disoccupazione, circa tredici milioni). L’istituzione della Tennesse Valley Authority mirò a sostenere il settore energetico e modernizzare quello agricolo. Nei “primi cento giorni” FDR diede una spinta importante alle forze politiche e sociali, ma anche al Congresso, che approvò quindici leggi centrali per il New Deal e altre settanta nei mesi successivi.

Insomma, un progetto ampio e lungimirante sintetizzabile con le “3 R” di relief dalla disoccupazione, reform del sistema finanziario per evitare una nuova depressione e recovery dell’economia rispetto ai livelli “normali”. Il New Deal ebbe effetti politici ed elettorali di profondo calibro. Ci fu un riallineamento che rese i democratici primo partito del paese. La New Deal Coalition aveva le basi tra i nuovi lavoratori sindacalizzati, le minoranze dei gruppi etnici, le regioni del Sud e nelle party machines delle grandi città e tra gli operai. I democratici vinsero sette presidenziali su nove fino al 1969 e controllarono la Camera e il Senato quasi ininterrottamente fino agli anni Novanta.

Alle presidenziali successive, nel 1936, FDR confermò la sua popolarità, che gli permise di vincere in 46 stati e ricevere il 60 per cento dei voti. La Corte suprema federale stava però mettendo in discussione varie azioni del New Deal, e Roosevelt tentò di riformare l’organo giudiziario tramite nuove nomine al fine di avere un numero maggiore di giudici a lui favorevoli. La proposta venne di fatto bocciata a causa di un tattico rinvio in commissione al Senato a opera di molti scettici, tra cui vari democratici, e da cui nacque una informale “coalizione conservatrice” che univa esponenti dei due partiti ostili alle riforme rooseveltiane.

Discorsi del caminetto

Il blocco della sua azione politica-legislativa per riformare la Corte fu l’occasione per alimentare i “discorsi del caminetto”, una vera innovazione politica e comunicativa grazie alla quale FDR inviava messaggi importanti, ma con linguaggio semplice e diretto, attraverso la radio in una forma colloquiale e confidenziale.

Nel primo messaggio aveva parlato di banche nella temperie della crisi economico-finanziaria pochi giorni dopo il suo insediamento nel marzo del 1933: «Miei cari, desidero parlare per qualche minuto di banche al popolo degli Stati Uniti», disse anticipando le riforme per controllare maggiormente banche e finanza.

Terzo e quarto mandato

I primi due mandati furono concentrati sul rilancio dell’economia attraverso il New Deal, mentre il resto della presidenza ebbe quale principale azione il ruolo e il coinvolgimento degli Usa nella Seconda guerra mondiale. Nonostante la ferocia nazista del 1 settembre 1939, gli Usa non intervennero direttamente nel conflitto subito e solo la tenacia, la forza persuasiva e retorica di Winston Churchill, unito alle drammatiche notizie provenienti da Dunkirk aprirono un varco nella pervicace apparente imperturbabilità di FDR, il quale in realtà doveva convincere non solo il Congresso, ma anche una riluttante opinione pubblica.

Dopo la caduta della Francia e l’assedio della Gran Bretagna iniziò a far inviare aiuti anche grazie al Lend-Lease Act per aggirare il pagamento immediato degli armamenti soggetti alla norma di neutralità. La terza elezione nel 1940, la prima e unica nella storia americana prima della riforma costituzionale che impose un limite massimo di due mandati, aprì maggiormente lo scenario internazionale. A rompere definitivamente gli indugi intervenne l’Impero giapponese che con l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 permise a FDR di ottenere una dichiarazione di guerra contro il Giappone, che si estese a Italia e Germania dopo che queste avevano dichiarato guerra agli Usa.

Del resto, già nell’estate del 1941 l’attacco di un U-Boot nazista a un cacciatorpediniere Usa nelle acque del nord Atlantico rese evidente una guerra navale. Nel discorso “dell’infamia” chiese al Congresso di entrare in una guerra che il popolo americano «vincerà con una vittoria schiacciante».

Le quattro libertà

Il discorso delle “quattro libertà” pronunciato durante lo Stato dell’Unione del 1941: libertà di culto, di parola ed espressione, di libertà dalla paura e di libertà dal bisogno, rappresentò il tentativo di integrare la Costituzione con i diritti sociali ed economici assenti nel Bill of Rights del 1791.

Viceversa, l’internamento, per timore di attacchi interni, di oltre centomila giapponesi di cui la maggior parte aventi cittadinanza americana, gli valse aspre critiche successive alla sua esperienza presidenziale. Lavorò alla costruzione di una prospettiva per le future Nazioni unite anche in considerazione di una futura evidente competizione Usa-Urss e vinse il suo quarto storico mandato nel 1944; la partecipazione alla conferenza di Jalta del febbraio 1945 fu molto significativa per le questioni geopolitiche e diplomatiche successive alla fine della guerra, ma non poté partecipare alla altrettanto importante conferenza di Postdam perché morì due mesi prima (aprile 1945).

La sua malattia, che lo accompagnava da un quarto di secolo – contrasse la poliomielite che lo costrinse su una sedia a rotelle, il cui utilizzo pure celò con efficace volontà – si era aggravata durante il periodo bellico. Rispetto a suo cugino Theodore, che militava nelle file repubblicane, aveva la stessa tempra politica e una certa inclinazione per una presidenza “attiva”; sul piano internazionale trasformò la Dottrina Monroe di “nazionalismo” e di difesa del continente americano dalle ingerenze europee nella politica “del buon vicino”, ossia di azioni militari verso paesi che rappresentassero una minaccia per gli Usa.

Una interpretazione assai elastica venne fatta successivamente, specialmente nel continente latinoamericano. La presidenza del trentaduesimo presidente Usa ha segnato la storia e la politica americana facendola entrare nella storia contemporanea del secolo americano.

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