Non sembra affatto andare verso il centro il nuovo corso trumpiano per affrontare l’avversaria Kamala Harris: insulti pesanti con toni razzisti e sessisti anche estremi. Una certezza che se da un lato gli ha fatto conquistare il consenso della destra americana, dall’altro gli rende difficile conquistare nuovi elettori
Quando Donald Trump era ancora soltanto un noto immobiliarista newyorchese, il suo stile ruvido era già ben noto alle cronache, specie per l’ampio uso dell’insulto personale. Chi lo conosce bene afferma che in realtà non sia nulla di personale e che il tycoon non abbia mai serbato un rancore particolare per alcuno. Soltanto che non sopporta che qualcuno gli sia d’ostacolo per il raggiungimento dei suoi piani. Sia la prima moglie Ivana, sia che sia un avversario politico interno com’è stato nel 2016 il senatore del Texas Ted Cruz alle primarie di quella tornata (o il governatore della Florida Ron DeSantis a partire dal 2023) o esterno come Hillary Clinton, Joe Biden o Kamala Harris. Solo che non sempre funziona.
Non ha funzionato con Joe Biden, che non aveva grandi punti deboli nel 2020 che prestassero il fianco ad attacchi di natura sessista o cospirazionista. Nel 2024 è arrivata la vecchiaia, perfetto appiglio per utilizzare immagini di grana grossa che lo raffigurano in una casa di riposo o mentre cade. Adesso, con Kamala Harris, si sta riproducendo lo stesso schema, senza ascoltare lo staff della sua campagna elettorale, che invece gli prescriverebbe moderazione per cercare di allargare il perimetro, specie nei confronti delle donne, segmento dove l’avversaria starebbe allargando il gap. Basta analizzare il contenuto dei suoi discorsi.
Sembra passato il momento dove cercava di ragionare sul suo record come vicepresidente e come procuratrice generale della California, il candidato repubblicano è andato direttamente all’attacco con toni ancora più carichi del solito. Al centro del suo discorso ci sono allusioni sessiste e razziste, ma anche epiteti piuttosto aggressivi, che partono dal grande classico della destra americana sin dai tempi del maccartismo: comunista, insulto condiviso anche dal magnate Elon Musk, che definisce la candidata dem “Compagna Kamala” e ha condiviso un suo ritratto fatto con l’Ia vestita da dittatrice con tanto di falce e martello.
Poi però si scende sempre più in basso con «stupida come una pietra», «solo spazzatura» e «disgustosa». Ma soprattutto, allusioni dirette alla sua passata relazione con l’allora speaker della camera dei rappresentanti della California Willie Brown, suggerendo nemmeno troppo velatamente che avrebbe fatto dei favori sessuali in cambio della sua ascesa politica, suggerendo che lo stesso Brown potrebbe raccontare «cose su di lei che non volete sentire».
Quando si va sulla pagina dell’ex presidente su Truth Social, poi, la situazione degenera ulteriormente con le ricondivisioni di immagini di Harris in forma di scarabeo stercorario ma anche una marea di immagini sessualizzate della vicepresidente, compresa una dove Harris si nasconde dai giornalisti andando sotto un tavolo, allusione che non richiede molte spiegazioni.
Infine, quella che è forse la più grave dal punto di vista delle implicazioni: diversi post implicano il coinvolgimento dell’avversaria nella “congrega” di leader democratici che sarebbero satanisti e pedofili, una delle colonne portanti dei cospirazionisti di QAnon, gli estremisti di destra che venerano l’ex presidente come un martire e un lottatore contro il “Deep State” che lo perseguita anche nelle aule giudiziarie.
Il punto è che questa eccessiva connotazione dell’avversaria, che viene anche accusata di “non essere nera”, lede anche uno dei punti cruciali di una strategia vincente per il tycoon in vista di novembre: la conquista sempre più grande di un pezzo di elettorato afroamericano maschio che finché l’avversario era Joe Biden stava andando a gonfie vele, superando di gran lunga il 20 per cento dell’elettorato. Adesso invece tutto sembra di nuovo in gioco, anche grazie a un vice come J.D. Vance che rafforza la percezione di estremismo di destra dell’intero ticket repubblicano.
Però non è previsto che Trump possa cambiare: una delle caratteristiche che lo rende così amato dai suoi sostenitori è anche quella di essere il rovescio speculare del politically correct, una persona che definisce tutti coi “giusti termini” secondo il parere di chi, ormai, pensa «non si possa più dire niente».
Certo, Trump ha conquistato il partito repubblicano con questo modo di fare, ma forse potrebbe non bastare per vincere una nuova elezione contro una candidata che meglio di lui rappresenta il cambiamento e che spezza il loop geriatrico degli ultimi anni, con un tycoon che, al di là degli insulti, riesce sempre meno a fare un comizio che abbia senso dall’inizio alla fine.
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