La lettera dell'alfabeto preferita dal plutocrate, quella che accompagna tutte le sue avventure imprenditoriali, dall’ex Twitter a SpaceX, ha avuto più peso di Taylor Swift, di Springsteen e degli 81 miliardari che hanno sostenuto Harris. Perché l'uomo più ricco del mondo non poteva che finire tra le braccia del tycoon
Il fattore X più decisivo dei fattori TS (Taylor Swift), LG (Lady Gaga), OW (Oprah Winfrey), BS (Bruce Springsteen), BO (Barack Obama) a cui aggiungere a piacere intellettuali, scrittori, artisti, direttori di giornali e anche gli 81 miliardari che hanno sostenuto, assai più discretamente, Kamala Harris.
Fattore X come tutte le X della costellazione di Elon Musk, da X.com a X (l'ex Twitter), a SpaceX, a xAI, evidentemente la lettera dell'alfabeto preferita dal plutocrate, l'uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato in 268,2 miliardi di dollari.
Finanziatore e fan
Musk “il supergenio”, Musk la “stella che è nata” nella notte americana su mercoledì nella celebrazione di Donald Trump, di cui è stato assai più che un munifico finanziatore con donazioni complessive per 120 milioni di dollari, la populistica e chiacchierata lotteria da un milione di dollari al giorno in Pennsylvania, uno degli Stati chiave, soprattutto l'incessante campagna tramite il social media che controlla a favore del collega tycoon candidato alla Casa Bianca.
Investimenti assai remunerativi se Forbes ha calcolato che, nel giorno in cui le urne erano aperte e Wall Street aveva già capito come sarebbe andata a finire, le sue aziende quotate in Borsa hanno guadagnato 4,8 miliardi di dollari, Tesla più 3,54 per cento.
Le tasse
Si pone l'accento sui soldi perché è lo strapotere della finanza che domina la politica come il 5 novembre statunitense ha definitivamente certificato. Il capitalismo selvaggio ha orrore dei lacci e lacciuoli che le leggi dovrebbero imporre in una società equa. Odia soprattutto le tasse come l'egolatra Elon non ha mai mancato di sottolineare, scovando tutti gli artifizi possibili per eluderle, come nel 2018, quando non pagò nemmeno un dollaro per i tributi federali sul reddito. E attaccando tutti coloro che volevano porre un argine a palesi ingiustizie come il senatore Bernie Sanders quando nel 2021 chiese ai super-ricchi di contribuire in modo giusto al bilancio dell'erario e a cui rispose sprezzante: «Continuo a dimenticarmi del fatto che tu sia ancora vivo».
Nello stesso anno decise di spostare la Tesla dalla California al Texas con la seguente motivazione: «La California era la terra delle opportunità, ora è diventata la terra dell'iper-tassazione e dell'iper-regolamentazione».
Era già tutto previsto
Uno così, nonostante un passato di simpatie democratiche chissà quanto convinte, non poteva che finire nella braccia di “The Donald” per la stessa idiosincrasia ai tributi e le promesse reiterate sui tagli agli oboli, soprattutto quelli che toccherebbero ai magnati.
Più in generale per una filosofia di vita basata sulla poca o nulla invadenza del pubblico, in particolare nelle tasche dei cittadini, e sulla libertà senza vincoli dell'imprenditoria privata, contrabbandata come il solo modo per aumentare la ricchezza.
E questo nonostante alcune conclamate, inconciliabili differenze tra Musk e l'ex-futuro presidente su temi cruciali: il primo, per autocertificazione «metà democratico e metà repubblicano», progressista sui temi sociali e conservatore sul fisco, convinto (?) sostenitore della transizione ecologica; il secondo radicalmente di destra (ed è persino un eufemismo) e negazionista sui cambiamenti climatici tanto da uscire dall'accordo di Parigi come atto iniziale del suo precedente mandato.
Ma, di tutta evidenza, ogni dissidio si appiana davanti al comune interesse pecuniario.
Il feeling
Elon Musk è saltato con vigore sul cavallo vincente subito dopo l'attentato a Donald Trump, al minimo condividendone le redini e diventando l'alter-ego del candidato.
Lo ha intervistato per tre ore su “X” senza interruzioni, nelle ultime settimane di campagna elettorale ha stabilito la sua residenza in Pennsylvania per portare il suo apporto nello Stato che era considerato decisivo. Guadagnandosi una riconoscenza che sarebbe una sorpresa se non si riversasse in commesse, ovviamente in odore di conflitto di interesse, per i progetti spaziali a molti zeri dell'America, ed essendo già ora con Space X il più grande appaltatore della Nasa, mentre in totale nel 2023 ha ottenuto contratti per tre miliardi di dollari attraverso cento accordi con 17 agenzie.
Gli affari
A cosa gli serve allora Trump? Ad appianare i conflitti con i regolatori federali che hanno aperto venti indagini su di lui. Il ruolo che gli è stato promesso come capo di una nuova commissione per l'efficienza del governo sembra creato apposta per permettergli di trattare da una posizione di forza.
Elon Musk, 53 anni, nato in Sudafrica, cittadino canadese naturalizzato statunitense, bullizzato da piccolo, affetto dalla sindrome di Asperger, non può per legge aspirare un giorno alla Casa Bianca, per quello c'è già il vice di Trump, JD Vance.
Ma questo non gli esclude una carriera politica, almeno da influencer privilegiato a cui evidentemente aspira. Prova ne sia il post su X lanciato appena appresi i risultati delle presidenziali. C'è lui con un lavandino in mano e sullo sfondo lo studio Ovale, con la scritta: “Let that sink it”, traduzione libera, “digeritevi anche questa”.
È una citazione del se stesso di due anni fa quando portava lo stesso lavandino all'interno della sede di Twitter dopo aver acquistato la piattaforma tra le proteste dei dipendenti.
Non pone limiti alla sua ascesa e la sfida più grande che ha sempre affermato di voler vincere è quella della colonizzazione di Marte per evitare il rischio di un'estinzione degli umani sulla Terra e mettersi preventivamente al riparo.
Vasto programma che meriterebbe ben un lavandino sul pianeta rosso. Per ora gli basta la protezione garantita dalla corrispondenza di amorosi sensi con il presidente degli Stati Uniti d'America.
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