Tutte le potenze lavorano per avere droni che “pensano” e colpiscono. Gli Usa hanno i sistemi più avanzati, ma la Cina domina nell’hardware
Il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente stanno trasformando irreversibilmente il modo in cui la guerra viene combattuta. L’attacco dell’Iran a Israele accende ancora una volta i riflettori sui protagonisti del campo di battaglia del presente e del futuro: i droni, che aspirano a divenire completamente indipendenti dai piloti che li manovrano.
Il 28 agosto 2023, la vicesegretaria alla Difesa Usa Kathleen Hicks ha annunciato il lancio di Replicator, un programma militare che consiste nella creazione di una grande rete di droni volanti, a terra, marini e sottomarini guidati dall’Ia, capaci di muoversi in sciame oppure di operare da soli se le comunicazioni con le basi risultassero complicate o impossibili. I droni dovrebbero essere in grado di stabilire autonomamente il bersaglio, anche se la scelta di colpire o meno un obiettivo spetterebbe a un militare umano, che potrebbe supervisionare decine di droni. Questi sistemi – secondo Hicks – saranno messi in campo entro il 2025 e costituiranno «il più grande esercito del mondo». Il nome “Replicator” si riferisce al tentativo della Difesa statunitense di replicare in tutto il dipartimento le procedure utilizzate per realizzare l’esercito autonomo americano.
Il primo obiettivo di Replicator non sarebbe quello di prepararsi alla guerra, ma di scoraggiare un conflitto con Pechino. Questo scenario ci catapulta nel passato. Durante la Guerra fredda, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti raddoppiarono gli sforzi per padroneggiare le armi nucleari e per integrarle nel proprio arsenale. L’obiettivo prioritario era la strategia della deterrenza: attraverso la minaccia della rappresaglia si persuadeva il nemico a non agire. Oggi ci ritroviamo davanti a uno scenario simile.
Le due più grandi potenze dell’intelligenza artificiale, Cina e Stati Uniti, sono impegnate in una corsa agli armamenti per disporre della più grande produzione di Ia in ambito militare.
Poco prima di morire, l’anno scorso, l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger aveva esortato Pechino e Washington a collaborare per scoraggiare la proliferazione degli armamenti Ia. «Le restrizioni per l’intelligenza artificiale devono avvenire prima che sia integrata nella struttura di sicurezza di ogni società», aveva scritto nel suo libro The Age of AI. Lo scorso novembre, Xi Jinping e Joe Biden hanno raggiunto un accordo verbale per la creazione di gruppi di lavoro sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale, ma finora questo sforzo è passato in secondo piano rispetto alla corsa agli armamenti per i droni autonomi. In quanto leader indiscussi del settore, Washington e Pechino sono le più attrezzate per dare l’esempio, ponendo dei limiti all’uso militare dei droni, ma la loro intensa competizione, l’aggressione militare della Cina nel mar Cinese Meridionale e le persistenti tensioni su Taiwan rendono poco probabile la cooperazione.
Vantaggi asimmetrici
Gli analisti militari, i produttori e i ricercatori di intelligenza artificiale non si aspettano che un esercito di droni sia pienamente pronto per il combattimento prima di cinque anni. Attualmente i cinesi hanno un vantaggio nell’hardware, mentre gli americani nel software. Secondo Paul Scharre, vicedirettore del Center for a New American Security, Washington e Pechino sono in una situazione di sostanziale parità per quanto riguarda la tecnologia dei sistemi. Tuttavia, l’esercito avvantaggiato non sarà solo quello che possederà le armi più avanzate, ma quello che ne disporrà in massa, che potrà costruirle e sostituirle rapidamente.
In questo senso, gli Stati Uniti sono in ritardo rispetto alla Cina che domina il mercato per le tecnologie commerciali, utilizzabili anche sul campo di battaglia. L’Ucraina ha acquistato il 60 per cento della fornitura mondiale del popolare quadcopter Mavic di DJI, un drone amatoriale cinese che si può comprare su Amazon, a cui l’esercito di Kiev integra programmi di intelligenza artificiale. Anche i russi – nonostante il massiccio utilizzo dei droni iraniani Shahed – usano i Mavic cinesi per sganciare esplosivi sui nemici. Questi sistemi non sono precisi o potenti come gli aerei con equipaggio o i droni militari di fascia alta come i Reaper americani – che costano 32 milioni di dollari – eppure, sono stati in grado di rendere parte del mar Nero una no-go zone per la marina di Mosca e hanno permesso all’esercito russo di provocare distruzione nelle città ucraine. Non solo, sono facilmente sostituibili, economici (costano in media 2.000 dollari) e adattabili a un campo di battaglia che muta velocemente.
Il Pentagono sta quindi cercando di trarre lezioni dall’utilizzo dei droni nella guerra in Ucraina, e uno degli obiettivi di Replicator è proprio quello di aumentare esponenzialmente la produzione di sistemi piccoli e rimpiazzabili. Quello che l’Ucraina non può insegnarci – però – è come questo tipo di droni possa funzionare in un potenziale combattimento nel Pacifico contro la Cina, dove la geografia e le distanze coinvolte sono molto più grandi. I droni dovrebbero essere in grado di attraversare centinaia di miglia di spazio acquatico conteso, lavorare in gruppo in acque prive di Gps, trasportare carichi da 1.000 libbre, attaccare imbarcazioni ostili a 40 miglia orarie ed eseguire comportamenti autonomi complessi per adattarsi alle tattiche evasive di un bersaglio. Quindi è probabile che gli Stati Uniti abbiano bisogno di una classe di sistemi diversa.
In ogni caso, è certo che l’era degli eserciti autonomi stia arrivando rapidamente. A febbraio, il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato il taglio di 24.000 unità legate alle operazioni speciali antiterrorismo e l’impiego di più personale per i droni, la difesa aerea e le capacità informatiche. Il vantaggio principale dei droni è che riducono i rischi per le truppe umane, ma il numero delle vittime civili potrebbe essere superiore rispetto a quello causato dalle armi tradizionali. La preoccupazione reale è che la velocità dei conflitti futuri e il ritmo con cui l’intelligenza artificiale evolve possano creare pressioni per rendere queste armi totalmente autonome e fuori dal controllo umano.
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