Il 54% dei francesi apprezza la sentenza di ineleggibilità, il 58% boccia tout court la leader del Rn. Dunque nel paese resiste una maggioranza decisa a fermare l’ascesa dell’estrema destra
Sarà vero che l’ineleggibilità di Marine Le Pen, decretata dai giudici per cinque anni con il conseguente impedimento di partecipare alle presidenziali del 2027 salvo ribaltoni nel processo d’appello, è così deleteria per il suo partito, il Rassemblement National? Sarà vero, inoltre, che si è trattato di un verdetto politico per eliminare la candidata in vantaggio nei sondaggi, come hanno subito denunciato con alti lai diversi leader del sovranismo internazionale, da Donald Trump a Vladimir Putin, da Viktor Orban al solito Matteo Salvini?
O invece la magistratura ha semplicemente applicato la legge con un’imputata che peraltro era stata strenua fautrice dell’ineleggibilità a vita per chi avesse commesso reati di frode come quello per cui è stata condannata e ha praticamente rinunciato a difendersi dall’accusa di aver usato i fondi del Parlamento europeo per stipendiare funzionari del suo partito in patria?
Il clamore suscitato all’estero, se non si arresta, diminuisce di molto una volta varcati i confini della Francia. Lo dimostra un sondaggio a caldo di Le Figaro, un giornale non pregiudizialmente ostile alla destra. La sentenza ha “soddisfatto” il 37 per cento dei cittadini, mentre il 35 è rimasto “scioccato” e il 28 “indifferente”. Inoltre: il 39 per cento non lo valuta né un vantaggio né un handicap per il partito, il 37 per cento un handicap, il 22 per cento un vantaggio.
Secondo il 54 per cento è stata trattata come qualunque altro imputato, contro il 46 per cento che ha ravvisato una maggiore durezza per ragioni politiche (come la stessa Le Pen, secondo cui l’influenza sulle presidenziale era «l’obiettivo specifico» del giudice). Stessa percentuale, il 54 per cento, considera l’esito del processo un segno che la democrazia funziona bene grazie alla divisione dei poteri contro il 43 per cento che ha parere opposto.
La vera sorpresa arriva nella valutazioni sulle persone. Il 42 per cento ha una buona opinione di Marine le Pen, il 58 una cattiva. Il suo giovane delfino, Jordan Bardella, 29 anni, che del Rassemblement è il presidente, strappa un risultato migliore: buona opinione 44, cattiva 56. Il partito: buona 41, cattiva 59.
Eliseo, sogni perduti
Tutte queste cifre, lette in filigrana, suggeriscono una conclusione. Che Marine Le Pen sarà sì avanti nei sondaggi, ma regge ancora una maggioranza che nei suoi confronti ha una “conventio ad excludendum”, un timore che le ha impedito per ben tre volte di arrivare all’Eliseo.
Ed analoga sorte ha avuto la sua formazione di estrema destra, trionfatrice nel primo turno delle legislative dell’estate scorsa ma poi clamorosamente sconfitta al secondo turno se ha raggranellato 142 deputati contro i 178 della sinistra e i 150 del centro nonostante i dieci milioni di voti raccolti nelle urne. Potenza del sistema di ballottaggio con cui, si sa, gli elettori al primo turno scelgono e al secondo scartano.
Dunque non si è ancora completato quel percorso di “dediabolizzazione” che aveva portato la Le Pen a cambiare nome al Front National, a colorare di blu il partito ed a presentarsi con linguaggi e toni più soft rispetto al passato nel tentativo di far dimenticare certi estremismi del padre Jean-Marie, scomparso lo scorso gennaio a 96 anni.
Dal 1988 c’è sempre stato un/una Le Pen in corsa per l’Eliseo. Ma, nonostante un seguito crescente di popolarità e di consensi, quel nome che evoca parentele lunghe con Vichy, una delle pagine più vergognose della storia di Francia, a causa di una certa indulgenza di giudizio sul regime che fu collaborazionista del nazismo, quel nome si diceva non è mai andato oltre le gloriose sconfitte. Grazie alla nascita di fronti repubblicani o fronti popolari che ne hanno impedito l’accesso alle stanze del potere.
Le operazioni cosmetiche di Marine – che ha accolto come «un’ottima notizia» l’accelerazione dei tempi processuale, con la disponibilità manifestata dalla corte d’appello di Parigi di emettere la decisione di secondo grado «entro l’estate del 2026» – non sono mai state così convincenti da favorire apparentamenti solidi con altri partiti, costringendola a correre in solitaria verso la chimera del 51 per cento.
Le scelte dei cittadini
E i francesi, anche quando hanno voluto esprimere un voto di protesta contro i gruppi che hanno dominato la scena della Quinta Repubblica, si sono poi ritratti spaventati davanti alla prospettiva di consegnarsi all’estrema destra. Il sondaggio di Le Figaro, per quel che valgono le intenzioni, conferma la tendenza.
Suggerisce persino un’alternativa, se il men che trentenne Jordan Bardella supera la sua navigata mentore quanto a reputazione.
Tanto da lasciar intendere che solo con una nuova generazione di leader il Rassemblement National può finalmente completare la “dediabolizzazione” e rendere possibile il suo accesso nelle stanze in cui si decide, nonostante l’evidente inesperienza e l’ovvia differenza di carisma.
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