Lo ha scritto il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh in un articolo molto controverso. Come la maggior parte dei suoi ultimi scoop, però, anche questa storia non sta in piedi
Seymour Hersh, uno dei più apprezzati giornalisti investigativi americani, ha pubblicato un articolo in cui accusa gli Stati Uniti di aver sabotato il gasdotto Nord stream 2, danneggiato da un’esplosione sottomarina lo scorso settembre.
L’articolo delinea un complotto sensazionale che coinvolge la Casa Bianca, la Cia e i governi di Norvegia e Svezia. Secondo Hersh, il gasdotto sarebbe stato sabotato durante un’esercitazione Nato nel Mar Baltico per eliminare la rotta del gas alternativa che dalla Russia arriva direttamente in Germania, aggirando l’Europa orientale e l’Ucraina.
Fino ad oggi non sono emerse prove sui possibili responsabili dell’attacco. Alcuni sostengono che si sia trattato di un attacco russo, mentre altri incolpano Polonia o Stati Uniti. La questione è molto delicata, poiché Nord stream 2 è di proprietà della Germania e il sabotaggio potrebbe quindi essere considerato un attacco di guerra.
L’articolo di Hersh sembrerebbe mettere fine alla diatriba, ma come tutti i suoi ultimi “scoop” appare traballante. Il complotto che viene descritto, e che avrebbe coinvolto decine se non centinaia di persone per interi mesi, viene raccontato da un’unica fonte anonima. Hersh non fornisce altri documenti né elementi a supporto della sua tesi. Nessun testata ha voluto pubblicare l’articolo, che Hersh ha pubblicato sul servizio di mailing list Substack.
La storia
Hersh inizia il suo articolo ricordando la lunga ostilità degli Stati Uniti nei confronti del gasdotto Nord stream 2, una controversa infrastruttura che avrebbe consentito alla Germania di aumentare le importazioni di gas russo a basso prezzo, aggirando paesi ostili alla Russia, come Polonia e Ucraina, e rendendo così Mosca e Berlno ancora più vicine.
Secondo la fonte anonima consultata da Hersh, nel dicembre del 2021, mentre la Russia ammassava truppe al confine con l’Ucraina, l’amministrazione Biden avrebbe deciso di agire contro il gasdotto.
Nel corso di una serie di incontri segreti per decidere come rispondere all’escalation, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan avrebbe suggerito di colpire il gasdotto con un’operazione sotto copertura. A gennaio, poche settimane prima dell’invasione, la Cia avrebbe prodotto un piano di sabotaggio con l’aiuto degli esperti in immersioni in profondità della marina militare.
Secondo la fonte di Hersh, i governi di Svezia, Danimarca e Norvegia sarebbero stati informati dell’operazione e le forze speciali e l’aviazione norvegesi avrebbero fornito un essenziale aiuto pratico all’operazione.
A metà giugno, poco più di tre mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, un gruppo di marinai americani e norvegesi avrebbe piantato una serie di cariche esplosive lungo il gasdotto sfruttando come copertura l’esercitazione Nato Baltops 2022.
Hersh racconta di una serie di problemi tecnici, dovuti al fatto che all’ultimo momento la Casa Bianca avrebbe chiesto di sostituire l’esplosivo dotato di timer, che avrebbe portato a un’esplosione due giorni dopo la fine dell’esercitazione, con un meccanismo controllato a distanza, così da poter decidere il momento migliore per l’attacco.
Il 26 settembre, un aereo norvegese avrebbe sganciato una boa sonar nei pressi del gasdotto e poche ore dopo il segnale inviato dalla boa avrebbe causato l’esplosione, distruggendo tre condutture su quattro.
I problemi
L’articolo di Hersh è lungo e contiene numerosi dettagli che lo rendono apparentemente credibile. Hersh descrive minuziosamente il processo decisionale che avrebbe portato al sabotaggio, la scelta di quali reparti utilizzare, i particolari tecnici degli esplosivi, i problemi del loro controllo a distanza e le modalità con cui l’operazione sarebbe stata pianificata per evitare la supervisione da parte del Congresso, che avrebbe potuto portare a una fuga di notizie.
Il quadro che dipinge sembra realistico. Diversi attori coinvolti avrebbero mostrato preoccupazione e scetticismo sulla possibilità di compiere un’operazione così ambiziosa e rischiosa nei confronti di un alleato chiave come la Germania.
Il problema principale di tutta la storia, però, è che Hersh cita a sostegno un’unica fonte anonima non qualificata (non viene specificato nemmeno in termini vaghi qual è il suo ruolo né perché dovrebbe essere a conoscenza di tutti questi dettagli).
È molto insolito che una storia così importante venga sostenuta da una sola fonte anonima ed Hersh è stato spesso accusato in passato di affidarsi troppo alle confidenze di singoli attori su cui non rivela dettagli.
Di norma, per giustificare accuse così gravi e una vicenda così complessa, sono necessari molteplici fonti anonime o, ancora meglio, scoperte, oltre a documenti e altri elementi che possano sostanziare la vicenda.
La debolezza delle prove a sostegno della tesi di Hersh è probabilmente la ragione per cui il giornalista ha pubblicato la storia sul sito Substack invece che su uno dei principali giornali con cui collabora da anni. Gli standard di controllo del New Yorker, ad esempio, renderebbero impubblicabile una storia così poco sostanziata.
I precedenti
Lo scetticismo che circonda lo “scoop” di Hersh, che oggi a 85 anni, è dovuto anche alla pessima fama che il giornalista si è fatto negli ultimi anni. Per lungo tempo, Hersh è stato una celebrità del giornalismo investigativo americano. Il suo lavoro ha contribuito a rivelare il massacro di My Lay, in Vietnam, e i tentanti dell’esercito americano di nascondere l’accaduto. Più di recente, Hersh ha rivelato le torture avvenute nel carcere iraqeno di Abu Grahib compiute dalla guarnigione americana.
Nel corso dei primi anni Duemila, Hersh è divenuto sempre più critico e sospettoso nei confronti della politica estera degli Stati Uniti, restando però un’icona del giornalismo critico nei confronti del potere.
La percezione nei suoi confronti è iniziata rapidamente a cambiare anche presso il grande pubblico a partire dal 2013, con la pubblicazione di due inchieste dai presupposti molto traballanti.
La prima, pubblicata a settembre sulla London review of books, metteva in dubbio la versione ufficiale sugli attacchi chimici di Ghouta in Siria. Secondo l’intelligence americana e numerosi osservatori internazionali, nell’agosto di quell’anno il regime di Assad avrebbe attaccato con un mix di gas tossici il distretto di Ghouta, all’epoca controllato dai ribelli. Secondo la ricostruzione di Hersh, l’attacco sarebbe invece stato compiuto dai ribelli stessi per spingere gli Stati Uniti ad attaccare il regime siriano.
Come l’articolo su Nord stream, anche questa storia era basata su una sola fonte anonima e nessun documento. Per questa ragione era stato rifiutato dal New Yorker e dal Washington Post.
Due anni dopo, Hersh pubblica una storia ancora più sensazionale, sempre sulle pagine della London review of books. Questa volta, Hersh sostiene di aver scoperto la vera storia dell’uccisione di Osama Bin Laden.
Secondo il giornalista, Bin Laden era in realtà prigioniero dei pakistani da anni. La sua uccisione in un’operazione delle forze speciali sarebbe stata in realtà una messa in scena orchestrata d’accordo con gli Stati Uniti per nascondere la complicità pakistana nella sua fuga.
Anche questa volta, Hersh cita soltanto due fonti a sostegno della sua tesi, entrambi funzionari dell’intelligence Usa e pakistana in pensione da anni e che non avrebbero avuto alcun ruolo diretto nell’organizzare l’operazione. Esperti e giornalisti che hanno analizzato l’articolo hanno rilevato diversi errori ed incoerenze, così come nella storia del gas siriano.
Chi ha sabotato Nord stream?
L’articolo di Hersh è ampiamente circolato sui social network, ma non è stato ripreso da quasi nessuna testa importante, soprattutto a causa della sua debolezza. Il sabotaggio di Nord stream 2, però, rimane tutt’ora un mistero. Anche se Russia e paesi Nato si sono scambiate accuse reciproche su chi avrebbe compiuto l’attacco, nessun prova di eventuali responsabilità è emersa fino a questo momento.
Oltre alla Russia ed Hersh, tra chi sostiene che sarebbe un paese Nato, se non proprio gli Stati Uniti, ad aver orchestrato il sabotaggio, c’è l’economista Jeffrey Sachs, noto sostenitore di teorie del complotto sul Covid-19 e di recente diventato editorialista del quotidiano Repubblica.
La scorsa settimana, gli investigatori tedeschi che si occupano del sabotaggio hanno dichiarato che non ci sono prove al momento di un coinvolgimento russo nell’attacco. Ma l’indagine tedesca è incompleta, poiché gli investigatori non hanno accesso al sito dell’attacco, che si trova nelle acque territoriali della Svezia.
Dal canto loro gli svedesi hanno proibito l’accesso al sito, sostenendo la necessità di proteggere la loro sicurezza nazionale. Per ora, le indagini condotte in Svezia si sono limitate a rivelare che l’attacco alle condutture è effettivamente il risultato di un sabotaggio e che intorno al gasdotto sono state trovate tracce di esplosivo.
Tutte le ipotesi sui possibili autori dell’attacco restano così tutt’ora aperte.
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