130 riservisti scrivono a Gallant per smettere di combattere: «Superata la nostra linea rossa». Msf denuncia la morte di un suo operatore a Khan Younis. Ancora spari sui caschi blu
Oltre 770 morti in venti giorni, aiuti umanitari bloccati, 150 pazienti intrappolati nell’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia. Nel nord di Gaza è stato raggiunto «il momento più buio», ha detto l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk. Il direttore dell’ospedale ha detto che la struttura ha subito gravi danni dopo l’attacco dei carri armati dello stato ebraico.
L’unità di terapia intensiva è fuori uso e il rischio è che l’ospedale diventi una fossa comune. L’Oms ha denunciato di aver perso i contatti con l’ospedale, è uno degli ultimi ancora attivi nel nord della Striscia.
Secondo Turk, «la situazione sta peggiorando di giorno in giorno, le politiche e le pratiche del governo israeliano nel nord di Gaza rischiano di svuotare l’area di tutti i palestinesi: ci troviamo di fronte a ciò che potrebbe equivalere a crimini di atrocità, crimini che potrebbero anche estendersi a crimini contro l’umanità».
Le dichiarazioni di Turk sono tra le più dure dal 7 ottobre 2023. In oltre un anno di conflitto il governo israeliano ha cercato di screditare le Nazioni unite (il segretario generale Guterres è ancora considerato persona non grata) ma ora la situazione è inaccettabile anche per parte dell’esercito dell’Idf.
Centotrenta riservisti hanno inviato una lettera al ministro della Difesa, Yoav Gallant, in cui scrivono di non voler più combattere a Gaza. «Per alcuni di noi la linea rossa è già stata superata, per altri si avvicina rapidamente: il giorno in cui, con il cuore spezzato, smetteremo di presentarci in servizio», si legge nel documento.
Alcuni contestano i crimini commessi dall’Idf nella Striscia, altri invece pensano che il reale obiettivo del premier Benjamin Netanyahu non sia quello di portare in salvo i 101 ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
«Mi sento tradito dal mio stesso governo», dice uno di loro intervistato dalla Cnn. Non è la prima volta che dei soldati si rifiutano di combattere. In Israele da anni è attiva l’associazione Breaking the silence che accoglie obiettori di coscienza ma anche ex militari che dopo aver combattuto a Gaza negli ultimi vent’anni hanno sviluppato sintomi depressivi e post traumatici.
L’associazione ha raccolto centinaia di testimonianze tra veterani e riservisti, che hanno permesso di denunciare i crimini commessi dall’Idf.
Khan Younis
Se al nord la situazione umanitaria è tragica, nel sud il registro non cambia. Secondo il ministero della Salute palestinese gestito da Hamas in un attacco a Khan Younis sono morte 38 persone, tra cui 14 bambini. Medici senza frontiere ha denunciato la morte di un suo operatore nell’attacco.
«La guerra di Israele contro Gaza è una continua dimostrazione del disprezzo per le vite dei civili. Tutto questo deve finire ora», si legge nella nota della ong.
I documenti di Sinwar
L’obiettivo di Yahya Sinwar del 7 ottobre era di rapire più ostaggi possibili per liberare i prigionieri di Hamas nelle carceri israeliani. È quanto riporta il quotidiano Al Quds dopo che sono stati trovati alcuni documenti considerati appartenenti al capo dell’ufficio politico di Hamas.
Nei testi ci sono anche istruzioni chiare su come trattare gli ostaggi e proteggerli; i loro dati anagrafici e la loro identità.
Libano
In attesa dei negoziati che ricominceranno tra domenica e lunedì, il governo israeliano prosegue anche la sua offensiva in Libano. In quasi un mese di invasione sono morte oltre 2.500 persone, tra questi anche 163 tra soccorritori e personale sanitario. Sono stati uccisi anche tre giornalisti in un attacco aereo a Hasbaya nell’est del paese al confine con la Siria.
«La nuova aggressione israeliana contro i giornalisti fa parte di crimini di guerra commessi dal nemico israeliano», ha detto il premier libanese Najib Mikati che ha incontrato a Londra il segretario di Stato americano, Antony Blinken, per discutere anche degli aiuti umanitari da inviare a Beirut. L’attacco è stato «deliberato» con l’obiettivo di «terrorizzare i media per coprire crimini e distruzioni», ha aggiunto Mikati.
Altro attacco a Unifil
Nel frattempo, dopo giorni di attesa la missione di peacekeeping delle Nazioni unite, Unifil, ha detto ieri che il 22 ottobre scorso alcuni soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro una delle loro postazioni nel villaggio di Dhayra nel sud del Libano.
I caschi blu in servizio «stavano osservando i soldati dell'Idf che conducevano operazioni di sgombero delle case nelle vicinanze. Dopo essersi resi conto di essere osservati, i soldati hanno aperto il fuoco e i soldati si sono ritirati per evitare di essere colpiti», si legge in un comunicato dell’Unifil.
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