Il destino ha voluto che quest’anno la Giornata internazionale degli asteroidi – che dal 2015 viene ricordata ogni 30 giugno – coincidesse con il passaggio di due giganti rocciosi proprio a fianco della Terra. Uno era abbastanza grande da distruggere un’intera città, l’altro avrebbe potuto ucciderci tutti.

Se non ci avete fatto troppo caso, è perché le probabilità che impattassero con il nostro pianeta erano in realtà zero. Al massimo, qualcuno, guardando il cielo con un telescopio, a un certo punto avrebbe potuto ammirarne il passaggio, a distanza di sicurezza.

Eppure è significativo che esista una Giornata internazionale degli asteroidi, voluta fra gli altri da Brian May, che oltre a essere il chitarrista dei Queen ha un dottorato di ricerca in astrofisica. La volontà è di aumentare gli sforzi per individuare con un anticipo maggiore gli oggetti che potrebbero teoricamente piombarci addosso. Magari per cercare di salvare l’umanità, come se fosse la trama di Armageddon o di un altro film apocalittico americano.

La fine dei dinosauri

Anche perché la storia non è dalla nostra parte. Sean B. Carroll, un biologo americano, ha dedicato un libro (pubblicato in Italia da Codice edizioni) allo straordinario potere del caso e a come molte cose che riguardano l’evoluzione della Terra siano state molte volte influenzate appunto da fattori imponderabili. Fra le storie più emblematiche c’è quella ambientata intorno a 66 milioni di anni fa, quando non solo si sono estinti i dinosauri, ma anche circa tre quarti di tutte le specie viventi che popolavano allora il nostro pianeta.

Ebbene, è conoscenza abbastanza comune il fatto che la colpa sia stata appunto di un asteroide. È una teoria che risale agli anni Ottanta, quando Luis e Walter Alvarez, due scienziati padre e figlio, si accorsero che alcuni reperti del tempo contenevano una quantità spropositata di iridio, un materiale molto raro sulla Terra, ma molto presente negli asteroidi. Ricerche simili erano state fatte, quasi in contemporanea, anche dal paleontologo Jan Smit.

In sostanza, l’idea è che l’impatto dell’asteroide avrebbe creato un cratere di 190 chilometri di diametro e 40 di profondità, scagliando nell’atmosfera (e oltre) enormi quantità di detriti e polvere, arrivando a offuscare la luce del Sole e facendo precipitare il mondo in un gelo profondo. In realtà, come spiega Carroll, nel tempo si è scoperto che le cose andarono ancora peggio di quanto si era ipotizzato all’inizio.

L’impatto con l’asteroide avrebbe scagliato i detriti oltre l’atmosfera, e sarebbero poi caduti «sotto forma di migliaia di miliardi di meteore incandescenti, su tutta la superficie del globo». «L’effetto immediato di questa pioggia incandescente fu un innalzamento della temperatura dell’atmosfera, che raggiunse i 250 gradi, più o meno quella di un forno quando arrostiamo qualcosa». Gli incendi produssero ingenti quantità di fumo, che per molti anni offuscarono la luce del sole, bloccando la fotosintesi clorofilliana e facendo precipitare le temperature.

La teoria affascinante di Carroll è che alcune specie riuscirono in realtà, dopo molto tempo, a ottenere un vantaggio evolutivo dall’estinzione di massa. Fra gli altri, l’impresa riuscì proprio ai mammiferi, che non solo sopravvissero (forse grazie alle loro tane), ma occuparono poi anche lo spazio lasciato libero dai dinosauri.

Ma l’aspetto più sorprendente è che tutto questo sia accaduto appunto per caso. Perché se l’asteroide fosse arrivato mezz’ora prima, sarebbe precipitato nell’oceano Atlantico. Se fosse arrivato trenta minuti dopo, avrebbe centrato il Pacifico. I dinosauri probabilmente non si sarebbero estinti e forse non ci sarebbero mai stati né i primati né poi gli uomini.

La difesa planetaria

L'osservatorio dell'Esa a New Norcia, in Australia (foto D. O’Donnell/ESA – CC BY-SA 3.0)

La Giornata internazionale degli asteroidi nasce in un certo senso per questo: per ricordare che quella “casualità” che un tempo ci ha favoriti, un giorno potrebbe invece rivoltarsi contro di noi. In generale, il passaggio di piccoli asteroidi o frammenti di cometa nell’atmosfera è comune e non ci preoccupa, al massimo può creare spettacolari giochi di luce. In altri casi, come sembra sia accaduto qualche giorno fa in Toscana per il passaggio di un meteorite, ci possono essere effetti sonori apparentemente inspiegabili. Gran parte dell’umanità continua la sua vita senza rendersi conto di nulla.

Ma l’eventualità di scenari peggiori in futuro, per quanto remota, non è comunque pari allo zero. Tanto che la Nasa ha proprio la “difesa planetaria” fra le sue priorità. Nel caso ancora più specifico, significa studiare i cosiddetti Near-Earth objects (gli “oggetti vicini alla Terra”, in sigla “Neo”), ovvero quelli che hanno una traiettoria che li avvicinerà pericolosamente al nostro pianeta, cercando di determinare un eventuale pericolo con un doveroso anticipo. 

L’asteroide 2024 MK, che ha salutato la Terra a distanza di sicurezza il 29 giugno, è stato scoperto solo 13 giorni prima.  

Il 13 aprile del 2029 il passaggio dell’asteroide 99942 Apophis sarà visibile ad occhio nudo. Qualche tempo fa fu calcolata una pericolosissima possibilità d’impatto del 2,7 per cento, ovvero di 1 su 37. Solo una misurazione successiva e più accurata ha smentito ancora una volta il rischio di una collisione apocalittica.

Le missioni

Ad oggi gli asteroidi che sono stati classificati come Neo dall’Esa, l’agenzia spaziale europea, sono più di 34mila. Di questi, 1.585 fanno parte della cosiddetta “risk list”, l’elenco degli “attenzionati speciali” che nei prossimi anni dovranno essere monitorati con particolare riguardo per capire se saranno davvero un pericolo per l’umanità.

Al servizio della difesa planetaria ci sono telescopi e osservatori che creano una sorta di grande vedetta che monitora il cielo. Servirà anche a questo lo spettacolare osservatorio Vera C. Rubin, in Cile, che potrebbe essere pronto l’anno prossimo.

La simulazione dell'avvicinamento della sonda all'asteroide (Foto ESA-Science Office)

Ma nell’autunno del 2022 la Nasa ha già tentato di deviare un asteroide, con una “sonda-kamikaze” che si è schiantata a una velocità 6,6 km al secondo, contro un corpo roccioso nello spazio, con l’obiettivo di fargli cambiare strada. È stato il primo vero test di difesa planetaria, con l’obiettivo di comprendere gli effetti cinetici causati dall’impatto di un veicolo spaziale contro un asteroide.

Il prossimo ottobre partirà un’altra missione, guidata dall’Esa. Una sonda raggiungerà quello stesso gruppo di asteroidi per raccogliere dati ed effettuare indagini ravvicinate. Alla fine, la speranza è di riuscire a costruire una tecnica consolidata e ripetibile, pronta per essere utilizzata nel malaugurato caso che un asteroide dovesse viaggiare in direzione della Terra.

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