Lana ha 14 anni ed è arrivata in uno dei campi profughi di Deir Balah dopo essere scappata con la sua famiglia da Gaza, in fuga dalla guerra. «Quando siamo arrivati qui non c’era internet e non potevamo seguire la scuola a distanza. Abbiamo perso un sacco di tempo e non sapevamo come fare per studiare». La sua storia è la stessa di centinaia di migliaia di giovani della Striscia. Quasi la totalità degli edifici scolastici sono stati demoliti dagli attacchi di Israele e i continui spostamenti, in fuga dalle bombe, non lasciano nessuna speranza di tornare a scuola nel breve periodo.

I ragazzi che vivono nei campi profughi di Deir Balah, però, hanno potuto ricominciare a studiare grazie all’intervento di Nour, uno dei palestinesi che lavora con la ong italiana Acs e che lì ha costruito uno degli “Alberi della rete” di Gaza.

Il metodo usato è ingegnoso quanto semplice da realizzare, in un territorio dove non può entrare nulla, neanche gli aiuti umanitari. Ogni “albero” è costituito da un palo su cui viene issato un secchio contenente uno smartphone con una e-sim.

I telefoni devono essere issati molto in alto, in modo da riuscire a captare la linea telefonica (israeliana o egiziana, a seconda dei luoghi in cui si trova) e diventare, così, una sorta di hotspot rudimentale che riesce a redistribuire il segnale. Il “giardiniere” - come lo chiama Acs - Nour ha auto-costruito una sorta di asta da bandiera, sulla quale innalza agilmente il cellulare.

Quella di Lana è una delle poche storie di speranza che si riescono a intravedere nella tragedia immane che sta vivendo il popolo palestinese. E dimostra come, in questa situazione, sia fondamentale avere un accesso a internet per «mantenere un canale di comunicazione tra le persone, tenere in piedi almeno una briciola di rete sociale che mantenga le comunità coese». 

Come ha raccontato a Domani Manolo Luppichini, spiegando perché Acs, ong che lavora da oltre 20 anni all’interno della Striscia di Gaza, si sia immediatamente attivata proprio in questo senso. La connessione portata grazie agli “Alberi della rete” è solo «una goccia in mezzo al mare», eppure è fondamentale.

La situazione non è affatto semplice neanche per i giardineri di Acs. Belal, che gestisce a Jabalia, è stato costretto a scappare con la famiglia. Belal lavorava nell’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, nel nord di Gaza. È l’ospedale colpito da missili israeliani, che hanno causato la morte di 500 persone, solo due settimane fa. E dove sono ancora intrappolati 150 pazienti. Un attacco che ha spinto l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, a parlare del «momento più buio» per Gaza.

E, dopo la messa al bando da parte di Israele, dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), designata come organizzazione terroristica, la situazione non potrà certamente migliorare. «Non c’è nessuna organizzazione Onu o umanitaria in grado di sostituire Unrwa a Gaza e fornire gli stessi servizi», ha commentato all’indomani della decisione di Israele, Elisa Cardillo, del dipartimento comunicazione di Unrwa. Belal, che prima dell’attacco israeliano permetteva ai palestinesi di collegarsi anche all’interno dello stesso ospedale di Kamal Adwan, si è rifugiato a Gaza City e continuerà da lì, per quanto possibile il suo lavoro per Acs e per gli Alberi.

Per questo, per riuscire a portare avanti il progetto e continuare a fornire un minimo di sostegno economico ai palestinesi che ancora lavorano sul territorio, Acs ha lanciato una campagna di finanziamento - rilanciata anche da Zerocalcare che è autore della locandina del progetto - su Produzioni dal Basso.

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