Sono diversi i motivi perché un’isola così inospitale e remota, così grande ma poco abitata, si è trasformata in un chiodo fisso per il presidente eletto statunitense. Una storia che viene da lontano e che è diventata più attuale che mai
Era l’ormai lontano 2019 quando Donald Trump, durante il suo primo mandato da presidente degli Stati Uniti, dichiarava di voler comprare la Groenlandia. Un’ipotesi definita assurda da Mette Frederiksen, già allora premier della Danimarca, ovvero il paese che detiene ancora un controllo sull’isola più grande del mondo.
Dopo più di cinque anni, Trump è in procinto di tornare alla Casa Bianca e ha ritirato fuori la questione della Groenlandia, affermando di voler includerla nel territorio statunitense, non escludendo pressioni economiche e militari per raggiungere questo obiettivo. Frederiksen si è trovata di nuovo costretta a rispondere al tycoon, ribadendo che il futuro della Groenlandia è solo nelle mani dei suoi abitanti.
Ma perché per il presidente eletto statunitense un’isola così inospitale e remota, così grande ma poco abitata (57mila abitanti su una superficie di oltre due milioni di chilometri quadrati), si è trasformata in un chiodo fisso?
Di chi è la Groenlandia: il legame con la Danimarca e l’indipendenza
La Groenlandia è un territorio sotto il controllo di Copenaghen, in maniera formale dal 1953 ma in realtà da secoli. Nel corso degli ultimi decenni, in particolare dal 1979, ha ottenuto una sua autonomia, potendo eleggere un governo locale, gestendo gli affari interni, pur rimanendo nel regno di Danimarca. Copenaghen ne ha voluto mantenere il legame, respingendo già nel 1946 l’offerta americana del presidente Harry Truman che voleva acquistare l’isola per 100 milioni di dollari, a riprova del fatto che l’interesse statunitense non nasce con Trump. Tuttavia, il governo danese fin dalla Seconda guerra mondiale appaltò con diversi accordi la difesa della Groenlandia agli Stati Uniti.
Dal 2009 Nuuk può invece decidere di rendersi indipendente tramite un referendum mentre la Danimarca è rimasta formalmente responsabile della politica estera e di difesa della Groenlandia, così come del sistema di polizia e giudiziario.
Oggi la maggioranza della popolazione della Groenlandia non nasconde il desiderio di essere indipendente, come confermato dai risultati dei partiti pro-indipendenza nelle elezioni del 2021, che in totale hanno raggiunto l’80 per cento. Rimangono, però, molti dubbi sia sui tempi sia sulla sostenibilità economica dell’isola senza il supporto della Danimarca, che ogni anno versa nelle sue casse circa 1 miliardo di dollari, o di qualche altro attore esterno.
Il 6 aprile di quest’anno gli abitanti della Groenlandia sono chiamati alle urne per rinnovare il parlamento locale e c’è la possibilità che nello stesso giorno venga indetto proprio un referendum sull’indipendenza. O in quel momento o comunque entro l’anno. Il premier Mute Egede, al potere dal 2021, sta spingendo per slegarsi definitivamente da Copenaghen. Allo stesso tempo, però, Egede ha risposto a tono a Trump, ricordando che l’isola non è in vendita.
Certo è che in caso di un risultato positivo al referendum sull’indipendenza, la Groenlandia potrebbe avvicinarsi agli Stati Uniti (o essere avvicinata da essi) per far fronte a spese altrimenti difficilmente sostenibili. Magari con un patto di “libera associazione”, stessa formula che gli Stati Uniti usano con le isole Marshall o la Micronesia e Palau.
L’importanza della Groenlandia per la sicurezza degli Usa
Ci sono diversi motivi che hanno scatenato negli ultimi anni un’attenzione crescente attorno alla Groenlandia, sia da parte degli Stati Uniti sia da parte di altre potenze mondiali, Cina e Russia su tutte. E quasi tutti i motivi hanno a che fare con un fattore: il cambiamento climatico. Il riscaldamento globale, infatti, sta provocando lo scioglimento dei ghiacciai in tutto l’Artico, modificandone i contorni, aprendo nuove possibili rotte commerciali e militari, scoperchiando ricchezze nascoste e giacimenti di risorse fondamentali.
La Groenlandia, per la sua posizione, è considerata strategica per gli Stati Uniti: non a caso Trump ha parlato di una questione relativa alla sicurezza nazionale del paese. Trovandosi all’inizio dei passaggi a nord-ovest e nord-est dell’Artico, con le rotte nel prossimo futuro sempre più navigabili, gli Usa non vogliono che altre potenze ne approfittino. In Groenlandia, Washington detiene un’importante base militare che si occupa di sorveglianza spaziale, la Pituffik Space Base, già conosciuta come la base aerea di Thule, in cui al momento sono presenti 200 soldati americani, oltre a 450 unità degli alleati. Un avamposto cruciale per intercettare le possibili minacce, missilistiche e non, provenienti dalla Federazione Russa.
Giacimenti, risorse preziose, terre rare e materie prime
Lo scioglimento dei ghiacci, inoltre, consentirà sempre di più lo sfruttamento delle risorse naturali presenti in Groenlandia. Che non sono poche. L’intera regione artica, infatti, è ricca di minerali e metalli rari. Nell’isola più grande del mondo, nello specifico, una ricerca del 2023 ha confermato la presenza di 25 dei 34 minerali considerati “materie prime critiche” dalla Commissione europea. Tra cui grafite, litio ed elementi delle ormai celebri terre rare, necessarie per l’industria elettronica e per realizzare dispositivi teconologici di qualsiasi grandezza. Terre rare di cui oggi la Cina ha quasi il monopolio globale di estrazione, uno smacco per gli Usa.
Ma il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci hanno un impatto importante anche sulla pesca, principale voce delle esportazioni e dell’economia della Groenlandia. Diversi stock ittici si spostano sempre più a nord, rinvigorendo le potenzialità del mercato della pesca di Nuuk.
Nuove rotte commerciali nell’Artico
E quando i ghiacci diventano acqua, si creano nuove rotte di navigazione: potenziali vie commerciali e militari, tutte intorno alla Groenlandia. Le “strade” marittime del Polo Nord fanno gola in particolare alla Cina, per raggiungere i porti europei in tempi minori rispetto ai percorsi tradizionali. Secondo uno studio di ricercatori della Brown University, un viaggio da Shanghai a Rotterdam attraverso la rotta polare ci metterebbe circa 14-20 giorni in meno rispetto ai 45-50 giorni previsti passando per il canale di Suez. Un taglio che comporta risparmi notevoli.
E Pechino è doppiamente interessata alle rotte polari vicine alla Groenlandia anche per superare il “dilemma di Malacca”, cioè l’eventualità che lo stretto tra Indonesia e Malesia sia bloccato dagli Usa o dai suoi alleati che oggi controllano stretti e ‘colli di bottiglia’, i principali snodi del commercio mondiale. Un interesse, quello cinese, che gli Stati Uniti sono impegnati a contrastare.
Trump invaderà o comprerà la Groenlandia?
I motivi dell’interesse sulla Groenlandia e più in generale sull’Artico da parte degli Stati Uniti – oggi di Trump – sono quindi svariati. Il tono aggressivo con cui il prossimo inquilino della Casa Bianca li pone sul tavolo non dovrebbero più sorprendere, conoscendo ormai il personaggio. Dietro ad essi, però, si possono scorgere quasi sempre delle finalità precise.
Con Trump e con un mondo sempre più in fiamme ogni previsione è azzardata, ma sembra improbabile che nel prossimo futuro ci siano aggressioni militari nei confronti della Groenlandia. Più probabile che sia un escamotage per premere su Copenaghen, per far sì che – nel caso la Groenlandia non opti per l’indipendenza – le autorità danesi aumentino la loro presenza militare nell’area, bloccando i tentativi di penetrazioni (economiche e logistiche) già avvenuti da parte della Cina e allo stesso tempo concedendo a Washington sempre più libertà di azione per sfruttare materie prime e avamposti militari.
Sono altre le finalità geopolitiche, dunque, dietro le esternazioni di Trump. Lo ha sottolineato anche la premier italiana Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di giovedì 9: «Penso che le sue dichiarazioni siano più un messaggio ad alcuni altri grandi player globali, piuttosto che rivendicazioni ostili nei confronti di quei Paesi». Un segnale di interesse per l’area e di avvertimento a Russia e Cina. Un messaggio che sembra essere andato a segno, tanto che Mosca ha frettolosamente commentato tramite il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov: «L'Artico è una regione che rientra nei nostri interessi strategici e nazionali. Siamo e rimarremo presenti nel territorio Artico».
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